Mancano meno di 200 giorni all’inizio delle olimpiadi di Londra. Gli ultimi sei mesi che precedono questo evento sportivo sono spesso vissuti dagli atleti, soprattutto da quelli che aspirano al podio, in un crescendo di emozioni. Un articolo appena uscito sulla rivista della Scuola dello Sport del Coni di Mario Gulinelli, da sempre anima e artefice di questo giornale scientifico, pone l’accento sui rischi che il marketing, gli sponsor e i media possono fare correre nell’accentuare la pressione e le aspettative che si vengono a creare su atleti che non sono abituati a essere sotto questi riflettori, come invece lo sono ad esempio i calciatori, e sulla loro difficoltà a sopportare il peso le aspettative dell’opinione pubblica sul fatto che certamente vinceranno una medaglia. Questi atleti già vivono la pressione connessa al fornire la loro massima prestazione nell’olimpico, che rappresenta l’opportunità di entrare nella storia del sport mondiale. Questa problematica è stata illustrata dallo psicologo dello sport U. Kuhl, sulla rivista tedesca Leistungssport, 2011, 5) in cui ha analizzato le ragioni che hanno portato all’eliminazione ai quarti di finale dell’ultimo campionato del mondo della nazionale di calcio femminile tedesca, dopo avere vinto le due edizioni precedenti e essere considerata la grande favorita anche dell’edizione giocata in Germania nel 2011. La sua spiegazione, basata sulle dichiarazione delle giocatrici, dell’allenatrice e analizzando la loro esposione mediatica, evidenzia come questo torneo si è tramutato per loro in una minaccia anzichè rappresentare l’opportunità che tutti si aspettavano. L’opinione pubblica si aspettava grandi cose e le ragazze in campo anzichè giocare come sapevano, hanno cercato di compiacere questa richiesta cercando di fare qualcosa di speciale, di stupire, senza esserci riuscite. Lo stesso è accaduto ai campionati del mondo di rugby, dove la squadra di casa, gli All Blacks dovevano per forza vincere. In finale hanno sprecato ben tre calci piazzati, hanno vinto di un solo punto e negli ultimi minuti hanno solo cercato di congelare la palla. Questi sono casi in cui la sfida si trasforma in minaccia di una disfatta, dove i fantasmi mentali vengono fuori e paralizzano atleti, che non sono certamente persone ansiose, ma che vivono a causa delle troppe pressioni esterne la paura di non farcela. Possiamo solo sperare che i nostri atleti migliori siano consapevoli di queste problematiche e si preparino a affontare anche questo tipo di avversari, per arrivare sul campo con la mente libera.
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