La principale spiegazione che Prandelli ha fornito per illustrare le ragioni del pareggio con la Croazia è che i calciatori hanno mostrato poca energia e aggressività. Sembrava una valutazione interessante perché poneva l’accento sulla componente mentale della prestazione. Da quanto si legge sui giornali non sembra essere invece questo il punto, infatti emerge che i calciatori sono fisicamente stanchi, quindi la fatica è una questione che riguarda ciò che avviene dalle sopracciglia in giù. D’altra parte in uno staff pieno di preparatori fisici, fisioterapisti e medici non si può certo andare oltre il muscolo e peccato che il cervello non lo sia. Intanto, con le conoscenze che ci offrono le scienze dello sport, sappiamo che la fatica è un fattore assolutamente identificabile prima della partita, e allora partendo da questa conoscenza perché non prevedere un approccio adeguato a questa condizione? Secondo, la partita non è certo un esercizio estetico di moduli di gioco, le partite bisogna saperle giocare e possibilmente vincerle. Cosa serve allora parlare per giorni di schemi di dove giocherà quel giocatore piuttosto che quell’altro, quando ciò che conta per primo sono gli individui e cioè i calciatori. Voglia di essere vincenti, questo dovrebbe essere il primo criterio per scegliere chi andrà in campo, che in pratica si traduce nel sapere chi ha più combattività (aggressività) e energia da spendere, il modulo lo si costruisce a misura su chi possiede oggi queste caratteristiche. I cambi dovrebbero rispondere alla stessa logica. Chi è in grado di garantire questo atteggiamento quando in campo si ha un decremento di queste caratteristiche? Perché la squadra migliore non è quella composta dai migliori giocatori ma è quella che fornisce il risultato migliore. Chi si occupa del recupero mentale dei calciatori? Chi si preoccupa di trasmettere energia mentale anche quando si è stanchi fisicamente? Schemi e tecnica sono inutili quando non c’è la mente a guidare, ma la nazionale continua a ipertrofizzare lo staff sanitario.
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