La ricerca del talento si è spesso basata su un’idea di base che può essere così riassunta: perchè insegnare a un cane a salire su un albero, quando le scimmie lo fanno così bene. Apparentemente il ragionamento non fa una grinza e di conseguenza gli scienziati si sono messi a ricercarle e a scartare i cani. Poi sono sorti i primi problemi, per cui ad esempio i lemuri pur trovandosi a loro agio sugli alberi sono troppo lenti, altre sono troppo indisciplinate e aggrediscono e così via . Nonostante queste limitazioni ancora oggi molti selezionano gli atleti/scimmie sulla base delle caratteristiche fisiche e motorie che mostrano in un determinato momento. La natura ci porta però anche altri esempi che di solito non vengono considerati. La storia del bruco che diventa farfalla o quella del cigno che da giovane non è proprio uno splendore come lo è da adulto insegnano che l’apparenza, quindi come si è in un determinato momento dello sviluppo, può non corrispondere a come si diventerà. Queste storie ci devono insegnare che la ricerca sul talento non si deve basare sulla semplice somma delle capacità possedute in un detereminato momento ma deve essere impostata su un tragitto a lungo termine, perchè non è detto che i più bravi a 14 anni lo saranno anche a 16. Impegno e dedizione sono due dimensioni che di solito non fanno parte delle dimensioni esaminate, ma sono considerate come le più importanti dagli atleti di alto livello, dovrebbero invece cominciare a essere prese in considerazione. L’altro aspetto decisivo per avere successo come atleta consiste nel valutare il grado di miglioramento di un giovane durante una stagione agonistica. Atleti inizialmente meno competenti possono giungere a gareggiare con quelli più bravi grazie a una maggiore disponibilità a imparare dall’allenamento. Per cui non scartiamo per definizione i cani, potrebbero riservarci sorprese interessanti.
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