L’arte di ascoltare il “bambino difficile”

Le nuove condizioni di sviluppo e socializzazione dei bambini seppure da una parte positive possono portare molti di loro a non “reggere” tutte le complesse situazioni che si presentano loro. Una società in rapido cambiamento, infatti, impone nuovi tipi di adattamento: nello sport, ma non solo, si pretendono traguardi sempre più veloci e abilità sempre più precoci, mentre le esigenze primarie “da bambino” hanno spazi sempre più ridotti.

La conseguenza di questo cambiamento sociale  è spesso il malessere  invisibile del bambino.

Ogni allenatore del settore giovanile, nonché i genitori o educatori, dovrebbe sapere che l’elemento essenziale per entrare in contatto con i bambini è l’ascolto. Quando parlo di ascolto intendo quello che in psicologia viene definito in termini di ascolto attivo, che corrisponde  alla capacità di capire il significato indiretto dei messaggi di colui che ci parla.

Il bambino non ha la ricchezza del linguaggio adulto per esprimere il suo disagio psicologico e per questo lo fa attraverso modificazioni del comportamento, diventando quello che gli allenatori definiscono “il bambino difficile”.  Comportamenti come abbandonare il campo, non ascoltare le direttive dell’allenatore, essere aggressivo con i compagni, non riuscire a vivere lo spogliatoio, far volare palle fuori dal campo, seppur spesso etichettati come capricci o maleducazione sono più spesso comportamenti-allarme attraverso i quali il bambino, inascoltato, manda il suo messaggio nascosto. Alcuni di questi atteggiamenti inducono nell’adulto il classico comportamento punitivo.  Per far fronte a queste situazioni è importante uscire dalla rigidità che spesso caratterizza alcuni educatori e cercare di sviluppare la propria creatività osservando il comportamento del bambino e soprattutto ascoltando il significato indiretto del messaggio che sta inviando.  Sia il genitore che l’allenatore devono sapere che ogni comportamento deviante ha in sé un messaggio per cui il primo passo deve essere sempre quello di chiedersi: che cosa mi sta dicendo? Perché ha bisogno di comportarsi così? Che significato ha per lui questo comportamento?

Nella maggioranza dei casi c’è solo uno strumento che può aiutare a capire la domanda e guidare ad  una risposta educativa: l’ascolto.

L’allenatore che ascolta comunica così:

  • Si serve delle parole degli altri per far comprendere che li ha ascoltati
  • Ripete, parafrasando, ciò che ha ascoltato
  • Utilizza espressioni del tipo: “se ho ben capito vuoi dire che…”, mi stai dicendo che…”
  • Utilizza il linguaggio non verbale in modo coerente con il contenuto del messaggio: guarda il gruppo o l’atleta e si rivolge fisicamente verso di loro
  • Riconosce gli stati d’animo altrui, enfatizzandone il valore, impegnandosi nel ridurre  o aumentare l’intensità in funzione delle situazioni
  • Sa riassumere le opinioni altrui, evidenziando il valore dei singoli contributi e/o di quello collettivo nel conseguimento degli obiettivi

Se vuoi conoscere la tua capacità di ascolto rispondi a queste tre domande e rifletti:

  • Spendi del tempo ad ascoltare le persone con cui interagisci?
  • In che modo dimostri interesse all’ascolto durante la tua  pratica di allenatore?
  • Qual è il tuo modo più efficace di mostrare interesse verso opinioni, emozioni e azioni degli atleti?

“La natura, si dice, ha dato a ciascuno di noi due orecchie ma una lingua sola, perché siamo tenuti ad ascoltare più che a parlare”. (Plutarco, L’arte di ascoltare)

(di Daniela Sepio)

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