Qualche giorno fa è scomparso un incredibile campione del calcio, Luis Suarez. Nell’intervista rilasciata a Gianni Mura nel 2014 mi hnno colpito due idee che per me sono importanti quando si parla di campioni. Il valore della tecnica: “Senza tecnica non c’è calcio apprezzabile. Oggi, quando vedo tanti cross che finiscono dietro la porta cambio canale”. Il valore delle emozioni: ”Avventura è il termine giusto, perché nel 1961 non è che l’Inter fosse al vertice europeo. Ci puntava, per questo aveva preso il Mago e, di conseguenza, il Mago aveva convinto me, ma senza grandi discorsi. Poi s’è detto che io ero l’anima di quell’Inter, ma non è vero. Quell’Inter aveva molte anime, da Facchetti a Corso, da Picchi a Mazzola. Io ero l’esperienza, questo penso”. Suarez va all’Inter per avventura, per il Mago e per esserne una delle anime.
I campioni ci permettono di fare questi ragionamenti e di capire le ragioni per cui ne abbiamo bisogno.
Il primo riguarda il tema dell’eccellenza della prestazione umana. I campioni ci permettono di conoscere quali siano i limiti attuali dell’esperienza umana nello sport e ci mostrano come oltrepassarli, in una rincorsa a questo miglioramento che sembra infinita. Le scienze che studiano l’essere umano forniscono dati che ispirano gli allenatori migliori che utilizzano la metodologia dell’allenamento per migliorare quegli aspetti tecnico-tattici di cui parla Suarez.
Il secondo riguarda l’anima di una squadra, che si concretizza nella stretta relazione tra pensiero ed emozioni,. A tutti piace vincere, ma non tutti sanno che per esprimersi al meglio bisogna metterci l’anima. Chi non segue questo approccio, molto difficile da vivere giornalmente, cade nella trappola del risentimento verso di sé e verso chi gli sta vicino perchè non ha saputo evitargli questo problema. Anche Novak Djokovic descrive bene questo concetto dicendoci:
“Quando ci sentiamo feriti, risentiti, tristi o sentiamo di aver fallito o di non piacerci o qualsiasi cosa sia, rimaniamo intrappolati in quell’emozione. Succede anche a me, senza dubbio, dentro e fuori dal campo, molto spesso. È normale, è l’esperienza della vita di tutti noi. Ma cerco sempre di essere consapevole di ciò che ho detto o fatto o dell’emozione che provo e di non rimanerne intrappolato troppo a lungo. Torno indietro. Ne esco. Perché non possiamo controllare ciò che accade fuori di noi, ma possiamo controllare il modo in cui reagiamo a queste circostanze”.
Suarez e Djokovic, generazioni diverse di campioni, affermano però la stessa idea facciamo dialogare i nostri pensieri con le nostre emozioni, restiamo in contatto e dialoghiamo con la nostra anima e con quella dei nostri compagni e di chi lavora con noi.
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