Imparare dagli errori: un cambiamento molto impegnativo

Volere imparare dagli errori è un desiderio positivo e necessario ma è anche veramente molto difficile da praticare. Un primo ostacolo è rappresentato dal mantenere questa motivazione in modo continuo durante la stagione agonistica.

Un secondo aspetto riguarda il mantenerla anche quando l’atleta si sente preparato e in forma e pretenderebbe di performare al meglio in virtù di questa condizione. Dimenticando che l’ambiente in cui svolge la gara, l’avversario e l’importanza delle competizioni sono altri fattori che influenzano come si gareggerà.

Un terzo aspetto, strettamente collegato a quello precedente, sta nella presunzione di pensare che giacché si è in forma sarà scontato che si commetteranno pochi errori e tutto andrà bene. Meravigliandosi se ciò non accade. Pensare di vincere anziché pensare a come fare per giocare al meglio è considerato essere un killer della prestazione.

Un quarto aspetto si riferisce alla componente emotiva suscitata dall’errore. L’atleta conosce le ragioni dell’errore e saprebbe come cambiare ma si lascia dominare dalla frustrazione dell’errore e da emozioni di rabbia o delusione o sensi colpa anziché incoraggiarsi. In questo modo, anche se pensa in modo corretto, lo stato d’animo negativo verso di sé gli impedisce di mettere in pratica in modo efficace la sua scelta.

L’allenamento mentale dovrà rivolgersi a insegnare al giovane a uscire da questi stati mentali negativi, stimolare forme costanti d’incoraggiamento e sviluppare un dialogo con se stesso positivo.

 

 

Ricordando il Grande Torino

Paul Auster, 1947- 2024

Chi impara dagli errori ha successo

Una delle ragioni per cui gli atleti falliscono nell’impegnarsi al meglio a prescindere dal risultato è che non s’impegnano a esercitarsi mentalmente. Vuol dire che oltre agli esercizi che li mettono nella giusta condizione fisica non svolgono esercizi che possono aiutarli mentalmente. Per molti la prestazione mentale deve essere null’altro che la continuazione di quella, senza dedicarle alcuna attenzione.

Purtroppo, troppo spesso questa convinzione è molto radicata e gli atleti di fronte ai loro errori anziché reagire con più attenzione e decisione si sentono in colpa e si abbattono. Questo nell’era dei social è molto frequente e bisogna quindi allenare questi atleti a essere più consapevoli delle ragioni dei loro errori, che sono utilizzabili come opportunità per fare meglio. Questo non è facile ma l’atleta dovrebbe servirsi delle tecniche psicologiche per superare questi momenti difficili.

Questo tipo d’interpretazione differenzia gli atleti di successo dagli altri, chi non accetta e non impara dagli errori sarà costretto a non sviluppare completamente le sue risorse.

I numeri del disagio giovanile sono drammatici

I  numeri del disagio giovanile pubblicati da Repubblica.it sono drammatici. Rivelano che 2milioni di giovani fra 10 e 20 anni soffrono di disturbi mentali. Vivono male la scuola e si sentono inadeguati. E’ il fallimento della Scuola che non prepara alla vita, fornendo insegnamenti per migliorare competenza, autonomia e capacità di relazionarsi. E’ anche il fallimento dei genitori che non sono stati in grado di educare i loro figli a diventare adulti consapevoli delle proprie capacità e responsabili. E’ il fallimento dello Stato che non fornisce un sistema educativo centrato sullo sviluppo della persona.

La speranza è che si formino reti di insegnanti e di genitori che promuovano modi per affrontare questa situazione, attraverso il coinvolgimento degli psicologi ma anche con la realizzazione d’iniziative che possano insegnare agli adolescenti il loro valore come persona a prescindere da ogni altra valutazione.

Non c’è molto tempo per aiutare questi giovani, perchè se si aspetta che escano dalla scuola questo lavoro sarà molto più difficile per la difficoltà a riunirli ma soprattutto perchè avranno passato anni per loro fondamentali a disperarsi.

Rapporti interpersonali, benessere e prestazione

Slemp, G. R., Field, J. G., Ryan, R. M., Forner, V. W., Van den Broeck, A., & Lewis, K. J. (2024). Interpersonal supports for basic psychological needs and their relations with motivation, well-being, and performance: A meta-analysis. Journal of Personality and Social Psychology.

I processi motivazionali delle persone, il benessere e le performance sono probabilmente favoriti dal sostegno degli altri.

La teoria dell’autodeterminazione sostiene che il supporto interpersonale per l’autonomia, la competenza e la capacità relazionale sia cruciale per raggiungere tali risultati. Nello studio attuale, forniamo un’esame completo di questa formulazione basata su un database composto da 4.561 dimensioni degli effetti provenienti da 881 campioni indipendenti (N = 443.556).

I nostri risultati indicano che il supporto per l’autonomia, la competenza e la capacità di relazionarsi è fortemente correlato positivamente con la soddisfazione di questi bisogni di base e fortemente correlato negativamente alla loro frustrazione. Il supporto interpersonale per i bisogni di base è fortemente correlato positivamente con il benessere soggettivo ed è correlato con le performance. Le analisi hanno mostrato una stabilità generale degli effetti tra le culture, anche se le correlazioni del supporto all’autonomia con la motivazione autonoma si sono indebolite come funzione dell’individualismo. Il pattern opposto è stato osservato per la correlazione tra supporto alla relazionalità e motivazione intrinseca. Alcuni effetti sono anche diminuiti come funzione dell’età del campione.

In sintesi, i nostri risultati sono coerenti con la premessa che per sostenere la motivazione ottimale, il benessere e le performance, dovrebbe essere preso in considerazione un ampio insieme di comportamenti che favoriscono tutti e tre i bisogni di base, insieme a diverse fonti di supporto interpersonale, per ottenere il massimo beneficio.

Implicazioni pratiche

Ad esempio, sul luogo di lavoro, Jungert e altri (2018) hanno esaminato empiricamente un intervento specificamente mirato a promuovere comportamenti interpersonali di supporto ai bisogni all’interno dei team di lavoro attraverso l’implementazione di esercizi tra pari volti a sviluppare la capacità di vedere le cose dal punto di vista degli altri, la comunicazione efficace e la collaborazione. I risultati hanno mostrato che l’intervento ha comportato benefici sulla soddisfazione dei bisogni e sulla motivazione autonoma. La nostra meta-analisi offre ulteriore supporto empirico a tali sforzi. Infatti, come abbiamo notato, in alcuni casi i nostri risultati hanno mostrato che i supporti laterali (tra pari) per i bisogni di base hanno esercitato effetti ancora più significativi rispetto alle fonti verticali, suggerendo che i pari rappresentino una potenziale fonte di nutrimento sotto-utilizzata che potrebbe essere più coinvolta nella progettazione, consegna e mantenimento dell’intervento.


Gli allenatori insegnano ai giovani a essere concentrati?

La professione di allenatore è diventata sempre più difficile per tante ragioni sociali e psicologiche. Dal punto di vista sociale oggi per un giovane di qualsiasi età non è possibile praticare uno sport se non s’iscrive a una società sportiva e partecipa agli allenamenti. Quindi, chiunque voglia fare sport lo deve fare all’interno di un’organizzazione e in determinati orari.

Chi una volta andava al parco o ai giardini vicino a casa semplicemente per giocare a pallone con gli amici, per passare del tempo muovendosi ora deve iscriversi a una scuola calcio come chi a una vera passione per questo sport e gioca con l’idea di farlo anche da adolescente e magari diventare un calciatore.

All’interno di questi contesti sportivi osservo allenatori che mostrano difficoltà a insegnare qualcosa che non sia strettamente tecnico. La concentrazione è un problema dei giovani di oggi (e non solo loro), si vedono ad esempio ragazzi che si predispongono con una postura sbagliata a eseguire esercizi e insegnanti che correggono l’esecuzione e non la postura originaria. L’effetto è che la tecnica non può essere ben appresa ma trovo più grave che i ragazzi non associano postura e azione tecnica. Di conseguenza la loro attenzione è centrata sull’esecuzione non su ciò che la precede. Ciò viene confermato dalla correzione dell’istruttore che è anch’essa orientata sulla tecnica.

I giovani in questo modo imparano che devono solo prestare attenzione alla tecnica, che ciò che precede il colpo è insignificante e ignorano che la postura che anticipa il colpo è indispensabile per eseguirlo in modo corretto. In tal modo e nel migliore dei casi imparano a concentrasi solo su una parte del movimento, senza riconoscere che l’azione sportiva consiste in un susseguirsi di movimenti strettamente connessi gli uni agli altri.

Da questa impostazione mentale nascono frasi tipiche come: “oggi non sentivo i colpi”, “ogni volta che ci ho provato, tiravo fuori”, “è inutile quel movimento non mi viene”, “ero sempre in ritardo sull’azione”, “non potevo colpire perchè er rigido”.

 

Luogo e data di nascita influenzano ancora la selezione nel calcio

Morganti, G.; Brustio, P.R.; Ruscello, B.; Apollaro, G.; Padua, E.; Kelly, A.L. Birth Advantages in Male Italian Soccer: How They Influence Players Youth Career and Their Future Career Status. Sports 2024, 12, 103.

L’articolo tratta delle organizzazioni calcistiche che generalmente adottano modelli deterministici all’interno dei loro percorsi di talento. In questo quadro, si enfatizzano la capacità precoce e i risultati, portando a bias di selezione, come i vantaggi legati alla data di nascita e gli effetti del luogo di nascita, che la ricerca ha dimostrato influenzare sia le esperienze di sviluppo precoce che il coinvolgimento continuativo nello sport.

Lo studio si è proposto di:

  • Testare ulteriormente gli effetti legati alla data di nascita nel calcio giovanile italiano, esplorando la distribuzione del trimestre di nascita (BQ) e del luogo di nascita (BP) di 1050 giocatori italiani maschi nati tra il 1999 e il 2001, che hanno partecipato al campionato nazionale U17 durante la stagione 2015-16.
  • Indagare come gli effetti legati alla data di nascita abbiano influenzato lo stato di carriera futura dei giocatori selezionati.

I risultati hanno mostrato che i giocatori nati all’inizio dell’anno e quelli nati nel Nord Italia erano sovrarappresentati a livello giovanile. Tuttavia, solo il 18% dei giocatori ha sviluppato una carriera calcistica professionistica. Inoltre, il luogo di nascita dei giocatori era associato al loro futuro stato di carriera, mentre il trimestre di nascita non lo era. I giocatori nati nel Nord Italia avevano cinque volte più probabilità di completare la transizione dai giovani ai senior rispetto a quelli nati nel Sud Italia.

Accetta di avere paura e vai avanti

La difficoltà che incontrano molti giovani è di non tollerare di provare emozioni negative e che apparentemente potrebbero bloccare le loro prestazioni. Il loro obiettivo sarebbe di restare sempre calmi e concentrati, il caso contrario lo interpretano in termini di poca fiducia in loro stessi. Un atleta mi ha detto: “prima di quella fase di gara mi sentivo terrorizzato”. Gli ho chiesto qual era il problema, la risposta è stata che avrebbe dovuto sentirsi in quel modo se fosse stato veramente fiducioso verso di sé.

Nessuno spiega a questi ragazzi/e che sentirsi ansiosi è una condizione piuttosto normale prima di una prova e che questo stato d’animo non è una manifestazione d’insicurezza ma potrebbe essere molto altro. Ma chi dovrebbe educarli alle emozioni? Gli insegnanti a scuola o i genitori, che a loro volta hanno le stesse convinzioni dei ragazzi?

Che fare? Sperare che i ragazzi in questione siano più intelligenti delle loro paure e scoprano che si può fare molto bene anche se prima ci si sentiva terrorizzati. Questo potrebbe avvenire in quanto hanno scoperto che tutti sono ansiosi prima di fare qualcosa che per loro è importante, quindi, non è un malfunzionamento ma una condizione che accomuna tutti.

Raggiunta questa consapevolezza potrebbero pensare, che allora se questo stato d’animo non differenzia le persone, probabilmente vado come sono, dovrei concentrarmi su cosa mi serve per fare bene e quindi impegnarmi a stare concentrato sul compito che dovrò svolgere e per il quale mi sono impegnato.

Non tutti ci riusciranno facilmente, anzi serve una dedizione totale, però tutti possono intanto riconoscere che non sono le paure a distinguere le persone ma come si reagisce a questi stati d’animo.

La salute mentale degli allenatori di alto livello

Göran Kenttä, Kristen Dieffenbach, Marte Bentzen,  Melissa Thompson, Jean Côté, Cliff Mallett, and Peter Olusoga (2024) Position Paper: Rationale for a Focused Attention on Mental Health of High-Performance Sports Coaches. International Sport Coaching Journal.

Il ruolo dell’allenatore, particolarmente nello sport ad alto livello, può essere estremamente impegnativo, sfidante e stressante. La ricerca ha costantemente evidenziato le molteplici, variegate e sovrapposte richieste poste agli allenatori nello sport ad alto livello, che derivano sia dalla natura altamente carica dell’ambiente prestazionale stesso che dalla cultura dello sport ad alto livello che enfatizza il controllo emotivo e la resilienza a discapito della vulnerabilità e della ricerca di aiuto. La ricerca ha anche chiaramente evidenziato gli impatti dannosi di queste richieste sul benessere e gli esiti della salute mentale degli allenatori, e sulla sostenibilità dell’allenamento come carriera.

Le sole interventi a livello di allenatore non possono più essere considerati sufficienti per affrontare il complesso problema del benessere e del malessere degli allenatori. Non solo tali interventi, di solito mirati a migliorare la gestione dello stress, insegnare la consapevolezza o sviluppare specifiche “abilità” psicologiche, non affrontano i fattori sistemici a livello organizzativo che sottendono la cattiva salute mentale e il malessere nell’allenamento, ma sosteniamo che possano aggravare il problema, colpevolizzando involontariamente l’allenatore per la propria mancanza di capacità di autotrattamento.

Sebbene l’autocura dell’allenatore sia ancora una parte importante del quadro del benessere, la responsabilità per il benessere dell’allenatore dovrebbe essere condivisa. Perciò, sosteniamo un approccio più sistematico a livello organizzativo per potenziare e mantenere la salute mentale e il benessere degli allenatori. Sottolineiamo la necessità di interventi a livello organizzativo per ridurre il stigma associato alla scarsa salute mentale, per l’educazione degli allenatori affinché riconoscano le richieste dell’insicurezza lavorativa, delle transizioni di carriera e dello stress minoritario, e per il supporto tangibile alla salute mentale sotto forma di screening e accesso a un supporto appropriato. Inoltre, mentre sottolineiamo l’importanza dell’educazione degli allenatori in queste aree, mettiamo anche in evidenza l’educazione degli educatori degli allenatori, degli sviluppatori degli allenatori e di altri attori chiave in modo che siano meglio posizionati per supportare gli allenatori per i quali hanno un dovere di cura.

Suggeriamo che sia necessaria anche la ricerca per esplorare ed valutare gli interventi a livello organizzativo mirati a migliorare il benessere degli allenatori e che i finanziamenti dovrebbero essere indirizzati verso tali ricerche. Studi che esplorano popolazioni specifiche come gli allenatori di gruppi minoritari o ricerche più interculturali potrebbero anche sviscerare le sfumature dei diversi ambienti prestazionali e i loro impatti sulla salute mentale e il benessere degli allenatori, portando in definitiva a una comprensione più ampia e alla fornitura di strategie di intervento più su misura.

Questo articolo serve come un riassunto conciso, non solo della natura intensa dello sport ad alto livello ma anche delle implicazioni sulla salute mentale conseguenti per gli allenatori sportivi. Tuttavia, è imperativo andare oltre la fornitura di benessere e salute mentale a livello individuale/allenatore e il completo insieme di raccomandazioni basate su prove fornite qui è inteso per migliorare la sostenibilità dell’allenamento come professione.