La professione di psicologo dello sport in Italia non è così diffusa come ci si aspetterebbe per molte ragioni legate alle nostre arretratezze culturali sia in ambito sportivo che in quelle del mondo universitario. Fra queste ragioni ve ne è una che riguarda la non conoscenza da parte dei dirigenti e degli allenatori di dove e a chi indirizzare le loro offerte di consulenze di psicologia dello sport per la loro società sportiva. Spesso quindi la scelta dello psicologo dello sport avviene attraverso la conoscenza personale diretta o indiretta.
Conosciamo tutti qualche medico ma nessuno penserebbe di andare da un ortopedico quando gli serve invece un cardiologo o viceversa. Nella mente di molte persone dello sport è dominante l’idea che per lavorare nello sport sia sufficiente essere psicologi e non psicologi dello sport.
La reazione dello psicologo a cui viene offerta questa opportunità è immediatamente positiva ma poco dopo inizia la sua spasmodica ricerca di un collega che sia psicologo dello sport con cui parlare per chiedergli dei consigli su cosa deve fare. Risultato probabile: lo psicologo presenterà alla società un programma che prevede la messa in atto di competenze che non possiede e porterà discredito alla figura professionale dello psicologo dello sport.
Come ridurre questo problema? La risposta: lo psicologo dovrebbe essere in grado di documentare il lavoro svolto, descrivendo:
- la richiesta e l’ipotesi
- il metodo utilizzato
- i risultati raggiunti
- le implicazioni di quanto ottenuto per future altre attività
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