Vi sono atleti che non hanno difficoltà a comprendere che l’allenamento mentale è un impegno quotidiano. Spesso dicono: “Tutto bene”.
Tutto bene era la frase che da giovane scrivevo a mia madre quando d’estate le spedivo le cartoline, era un modo secondo me per tranquillizzarla. Ovviamente lei pensava che non volessi dire realmente come stavo e aveva ragione.
Com’è andato l’allenamento: “Tutto bene”. Impariamo qualcosa da questa frase su come è andata quella seduta? Sì, che l’atleta non è consapevole di quello che ha fatto o più banalmente che non vuole parlarne.
Quando la risposta si riferisce ad aspetti psicologici dell’allenamento vuole intendere che: “Ho fatto quello che mi ha detto l’allenatore e mi sono impegnato a fare del mio meglio”. Questa risposta apparentemente positiva, esclude ogni informazione riguardante come ho fatto gli esercizi, come ho affrontato gli errori, come mi sono corretto e così via. In altre parole, la risposta dell’atleta è di tipo globale ma non fornisce informazioni specifiche sullo svolgimento dell’allenamento. Non sappiamo, ad esempio, se vi sono stati cali di concentrazione o se l’attività è stata svolta con il livello d’intensità necessario.
Impariamo, in primis noi stessi, a non usare questi due termini “Tutto bene” e insegnamo agli atleti a essere specifici e a non rifugiarsi in questo approccio rassicurante.
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