Analizziamo due competenze fondamentali che i calciatori dovranno dimostrare di padroneggiare con efficacia durante i mondiali di calcio.
La concentrazione è uno dei fattori chiave alla base delle prestazioni d’élite. Vernacchia (2003) ha definito la concentrazione come “la capacità di eseguire una prestazione con un’attenzione chiara e presente” (p. 144). La concentrazione implica quindi la capacità di focalizzare l’attenzione sul compito da svolgere. Ciò significa che per avere successo in situazioni di competizione gli atleti devono imparare a focalizzare l’attenzione e a controllare i pensieri.
Come ha osservato l’ex portiere del Manchester United Edwin Van der Sar sull’importanza della concentrazione nel calcio:
“La concentrazione è una parte importante dell’essere un calciatore”, “Tutto ciò che fai durante il giorno è incentrato sulla capacità di concentrarti per quei 90 minuti durante una partita. Ma nel momento in cui sei stanco, i tuoi livelli di concentrazione iniziano a diminuire”.
Secondo Van der Sar, le prestazioni d’élite richiedono che gli atleti non reagiscano alle potenziali distrazioni. Queste distrazioni possono essere esterne o interne. Le distrazioni esterne possono essere visive o uditive e possono includere altri concorrenti, spettatori e media. Le distrazioni interne possono essere rappresentate da commenti negativi su di sé, stanchezza ed eccitazione emotiva.
Le prestazioni d’élite, quindi, possono essere significative solo quando gli atleti (come minimo) si concentrano volontariamente sugli spunti del loro ambiente per perseguire un’azione che rientra nelle loro capacità e sono allo stesso tempo in grado di evitare potenziali distrazioni (Smith, 2003).
Tuttavia, la concentrazione (e la capacità di evitare volontariamente le potenziali distrazioni) non sono gli unici fattori cruciali che influenzano le prestazioni d’élite. Un altro fattore cruciale è il linguaggio di sé. Hardy, Hall e Hardy (2005) hanno definito il self-talk come un “fenomeno multidimensionale che riguarda le verbalizzazioni degli atleti rivolte a se stessi” (p. 905) e successivamente (Hardy, 2006) come “verbalizzazioni o affermazioni rivolte a se stessi… con almeno due funzioni: istruttiva e motivazionale” (p. 82).
Più recentemente, Van Raalte, Vincent e Brewer (2016) hanno fornito una definizione che sottolinea le caratteristiche linguistiche del self-talk. Secondo loro, il self-talk è “l’articolazione sintatticamente riconoscibile di una posizione interna che può essere espressa interiormente o ad alta voce, dove il mittente del messaggio è anche il destinatario” (p. 141). L’aggiunta del termine “sintatticamente riconoscibile” è di particolare importanza perché distingue il linguaggio del sé da altre verbalizzazioni (come le grida di frustrazione come aaahhhh!), dalle dichiarazioni di sé fatte attraverso i gesti e dalle dichiarazioni di sé fatte al di fuori del contesto del linguaggio formale. Definire il linguaggio di sé come “articolazione di una posizione interna” contribuisce inoltre ad ancorarne il significato all’interno dell’individuo e a collocare l’origine del linguaggio di sé nella coscienza e nell’elaborazione delle informazioni.
Per saperne di più vai a: https://www.researchgate.net/publication/332940497_Concentration_and_self-talk_in_football
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