Parlando con gli adolescenti che praticano sport, mi sono accorto che non è scontato che sappiano spiegare cosa fanno in allenamento piuttosto che in gara e quali sono i loro punti di miglioramento e le loro competenze.
Se in qualche questo dato potrebbe essere accettabile per coloro che si allenano anche solo 3 la settimana, a mio avviso non lo è per quagli atleti che si allenano quotidianamente e svolgono un’attività agonistica per loro significativa. Inoltre, lo sviluppo a lungo termine dell’atleta è un percorso che prevede per la maggior parte degli sport, con l’eccezione di quelli a specializzazione precoce, che a partire da 14/15 anni lo scopo dell’allenamento sia d’imparare a gareggiare.
Ma come può essere raggiunto questo scopo per chi non è in grado di spiegare compiutamente quali sono le sue competenze e come intende impegnarsi in gara?
Spesso negli sport di squadra è lo stesso allenatore a guidare la squadra dalla panchina quasi fosse composta da automi e non da giovani con pensieri specifici sul gioco da svolgere. Lo stesso vale in tutti gli sport situazionali e a prevalenza tattica che siano il tennis, il tennis tavolo, la scherma e altri ancora. Vi sono sport, in cui più che in altri, il prendersi la responsabilità delle proprie decisioni e verificare gli effetti in gara fa parte di un irrinunciabile processo di sviluppo come persona e come atleta. Nessun allenatore dovrebbe ostacolare lo svolgimento di questo processo e tantomeno sostituirsi al processo decisionale degli atleti.
Questo percorso dovrebbe già essere presente in allenamento per poi trovare la sua applicazione migliore in gara. In conclusione, alleniamo gli atleti a prendere decisioni e a viverne le conseguenze positive e negative. Insegnamogli a praticare uno sport ragionato che gli permetta di sentirsi autonomi, autodeterminasti, consapevoli delle competenze e degli errori commessi.
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