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La generazione ansiosa

A partire dal 2010 i disturbi mentali dei giovani sono aumentati in modo incredibile. Ansia e depressione riguardano attualmente più del 20% degli adolescenti. Jonathan Haidt ha trattato questo tema nel suo libro in uscita proprio in questi giorni, e che presenta in questo modo:

“Nell’estate del 2022, stavo lavorando a un progetto di libro – La vita dopo Babele: Adattarsi a un mondo che non possiamo più condividere – riguardante come gli smartphone e i social media hanno riconfigurato molte società negli anni 2010, creando condizioni che amplificano le note debolezze della democrazia.

Il primo capitolo trattava dell’impatto dei social media sui ragazzi, che erano i “canarini nella miniera”, rivelando segnali precoci che qualcosa non andava per il verso giusto. Quando le vite sociali degli adolescenti si sono spostate su smartphone e piattaforme di social media, ansia e depressione sono aumentate tra di loro. Il resto del libro sarebbe stato incentrato su ciò che i social media avevano fatto alle democrazie liberali.

Mi sono reso rapidamente conto che il rapido declino della salute mentale degli adolescenti non poteva essere spiegato in un solo capitolo – aveva bisogno di un libro tutto suo. Quindi, “La Generazione Ansiosa” è il Volume 1, in un certo senso, del più ampio progetto Babele.

Inizio “La Generazione Ansiosa” esaminando le tendenze della salute mentale degli adolescenti. Cosa è successo ai giovani nei primi anni 2010 che ha scatenato l’impennata di ansia e depressione intorno al 2012?”.

Percent of U.S. undergraduates with different mental illness, 2008-2019

Cosa è successo ai giovani nei primi anni del 2010?

La Generazione Ansiosa offre una spiegazione raccontando due storie. La prima riguarda il declino dell’infanzia basata sul gioco, che è iniziato negli anni ’80 e si è accelerato negli anni ’90. Tutti i mammiferi hanno bisogno di gioco libero, e tanto, per cablare i loro cervelli durante l’infanzia e prepararli per l’età adulta. Ma molti genitori nei paesi anglofoni hanno iniziato a ridurre l’accesso dei bambini al gioco libero non supervisionato all’aperto a causa delle paure alimentate dai media per la loro sicurezza, anche se il “mondo reale” stava diventando sempre più sicuro negli anni ’90.

La perdita del gioco libero e l’aumento della supervisione continua degli adulti hanno privato i bambini di ciò di cui avevano più bisogno per superare le normali paure e ansie dell’infanzia: la possibilità di esplorare, testare ed espandere i loro limiti, costruire amicizie strette attraverso avventure condivise e imparare a valutare i rischi da soli.

La seconda storia riguarda l’ascesa dell’infanzia basata sul telefono, che è iniziata alla fine degli anni 2000 e si è accelerata nei primi anni del 2010. Questo è stato precisamente il periodo durante il quale gli adolescenti hanno scambiato i loro telefoni a conchiglia con gli smartphone, che erano carichi di piattaforme di social media supportate dalla nuova connessione internet ad alta velocità e piani dati illimitati.

La convergenza di queste due storie negli anni tra il 2010 e il 2015 è ciò che io chiamo la “Grande Riconfigurazione dell’Infanzia”. In pochi di noi capivano cosa stava accadendo nei mondi virtuali dei bambini e ci mancava la conoscenza per proteggerli dalle aziende tecnologiche che avevano progettato i loro prodotti per essere dipendenti.

Per questo motivo, abbiamo finito per proteggere eccessivamente i bambini nel mondo reale mentre li abbiamo sotto-proteggiti nel mondo virtuale.

Daniel Kanheman è morto all’età di 90 anni

Daniel Kahneman è stato uno psicologo che ha aperto la strada alle teorie del comportamento economico, ha vinto il premio nobel per l’economia nel 2002, insieme a Vernon Smith «per avere integrato risultati della ricerca psicologica nella scienza economica, specialmente in merito al giudizio umano e alla teoria delle decisioni in condizioni d’incertezza». E’ morto all’età di 90 anni.

Ha dimostrato che le violazioni della razionalità economica non sono episodiche ma sistematiche. Al riguardo ha affermato che:

“la classica teoria delle scelte fissa una serie di condizioni di razionalità che sono forse necessarie ma difficilmente sufficienti: esse, infatti, consentono di definire come razionali molte scelte palesemente sciocche” (Kahneman 1994, p. 23). “Nessuno ha mai creduto seriamente che tutti gli esseri umani abbiano sempre credenze razionali e prendano invariabilmente decisioni razionali. Il principio di razionalità viene generalmente inteso come un’approssimazione, fondata sulla convinzione (o speranza) che gli scostamenti dalla razionalità si facciano rari quando la posta è alta o tendano a scomparire del tutto sotto i colpi della disciplina del mercato” (Kahneman 2003, p. 87). 

Per i campioni è molto difficile accettare di ritirarsi

Per provare a dare una spiegazione del motivo per cui molti campioni non si ritirano giunti a un’età in cui questa sembrerebbe essere la decisione migliore, e qui il pensiero va al 37enne Novak Djokovic, un articolo apparso su The Guardian cita la storia di Archie Moore (1916-1998), campione del mondo dei mediomassimi e uno dei più longevi pugili, felicemente sposato e padre di due figlie. Quando aveva 47 anni e ancora campione del mondo disse:

“Sono ancora la vecchia mangusta che cerca di superare i ragazzi più giovani… Sono come l’ubriaco al bar che ne vuole ancora un altro per la strada. Voglio un altro ko da aggiungere al mio record e poi un altro ancora. Alcuni dicono che è fantastico quando un uomo si ritira imbattuto. Ma un campione dovrebbe combattere fino alla fine e uscire con le mani alzate proprio come è entrato. È la giusta uscita di scena e credo che possa essere la mia”.

Combatti per altri tre anni e si ritirò a 50 anni con 186 vittorie.

Djokovic è consapevole di quando gli sta accadendo e sta provando la carta del cambio allenatore, forse per trovare nuovi stimoli, ciò che toglie che il suo pensiero, oggi, è piuttosto chiaro e la sua decisone dipenderà da quanto saprà accettare questo inevitabile declino e la tristezza che comporta:

“Sappiamo tutti che quei momenti arriveranno per tutti noi”, ha detto. “Ma quando arrivano davvero, e quando capisci che è finita, che Roger ha finito la sua carriera, che Rafa e io probabilmente non giocheremo più molto, è come se un’era finisse ed è triste”.

 

 

L’importanza del timing nello sport

Spesso si sbaglia perchè si fa la cosa giusta nel momento sbagliato. Significa possedere la tecnica di esecuzione ma nello stesso tempo evidenzia l’inabilità a scegliere il tempo dell’esecuzione. Le abilità chiuse (rigore, tiro libero, servizio) si basano sul possedere il giusto timing. Per alcuni sport come se non lo si possiede non si ottiene mai un risultato dignitoso. Talvolta si dice “non ne fa mai una giusta” quando deve aspettare va e viceversa, quando deve tirare passa, quando tenere un determinato ritmo o rallenta o accelera.

Il tiro a volo propone almeno tre tipi diversi di timing: cosa fare nell’attesa tra un tiro e l’altro, il timing della preparazione del tiro e infine il tempo di sparo. Quanti sono coloro che si allenano tenendo consapevolezza di queste tre fasi? Quando commettono un errore a quale di questi tre fattori attribuiscono la causa.

Chi fa sport che richiedono questo tipo di approccio mentale dovrebbe riflettere su questi temi.

Taiwan mental training workshop

In questi giorni sono a Taiwan per lavorare con la squadra nazionale di tiro a segno e di tiro a volo in preparazione delle Olimpiadi di questa state a Parigi. Contemporaneamente ho anche condotto due giornate di workshop con gli allenatori e gli psicologi dello sport. Come sempre in queste situazioni ciò che viene apprezzato non è tanto la spiegazione di teorie psicologiche ma la capacità di illustrare come si organizza e si conduce un programma di preparazione mentale.  Molte le domande su come si lavora per prepararsi ai grandi eventi internazionali e come si gestisce la pressione nei momenti più importanti di una gara, in particolare le finali. Altro punto focale è stato anche quello riguardante la pratica della preparazione psicologica durante ogni allenamento e come questa debba essere riportata in gara.

備戰2024巴黎奧運會 射擊運動心理工作坊。國家運動科學中心提供國家運動科學中心執行長黃啟煌義大利籍運動心理教授Alberto Cei 。國家運動科學中心提供

Il ruolo dell’esperienza nello sport

Qualità di un grande allenatore

Il Comitato Olimpico Internazionale ha pubblicato questo testo che riguarda l’identificazione di quali le qualità principali di un grande allenatore. Sono interessanti, poiché aldilà delle differenze di individuali descrivono dimensioni psicologiche molto simile a quelle di qualsiasi altro leader chi guidi in altri ambiti gruppi di successo.

Non esiste un’unica corretta modalità di allenare un atleta. Hai il tuo stile di allenamento unico che funziona e che nessun altro può replicare. Tuttavia, ci sono alcune caratteristiche comuni a tutti i grandi allenatori, indipendentemente da come vengono applicate.

  1. COMPRENSIONE DELLO SPORT - Per poter insegnare efficacemente, devi avere una comprensione approfondita dello sport, dalle abilità fondamentali alle tattiche e strategie avanzate. Gli allenatori devono pianificare per la stagione, comprendere la natura progressiva dell’adattamento all’allenamento, conoscere le regole e fornire un ambiente semplice e strutturato per far sì che gli atleti abbiano successo.
  2. VOLONTÀ DI APPRENDERE - Sebbene un buon allenatore sappia molto dello sport, devi continuare a imparare e sviluppare nuove tecniche di allenamento. Rimanere aggiornati e informati sulle nuove ricerche, sull’allenamento e su tutto ciò che supporta il processo di coaching è un segno di un grande allenatore. Frequentare corsi su argomenti come la psicologia dello sport, la nutrizione e la fisiologia dell’esercizio è un’ottima idea ed è facilmente accessibile per qualsiasi allenatore che voglia crescere e migliorare.
  3. CONDIVISIONE DELLA CONOSCENZA - Ottenere conoscenza è importante, ma avere la fiducia di condividere e cercare i pareri degli altri, specialmente quelli al di fuori del tuo sport, è una qualità chiave. I migliori allenatori capiscono chiaramente che sono lì per educare gli atleti.
  4. ABILITÀ MOTIVAZIONALI - Un allenatore di successo è un motivatore con un atteggiamento positivo e entusiasmo per lo sport e per gli atleti. Il divertimento e il piacere sono i pilastri del coaching di successo. Quando si motiva un giocatore, un buon allenatore sottolinea il tentativo di raggiungere obiettivi di prestazione, non solo obiettivi finali.
  5. CONOSCENZA DELL’ATLETA - Essere consapevoli delle differenze individuali degli atleti è un ingrediente importante per l’eccellenza nell’allenamento. Personalizzare la comunicazione e la motivazione per atleti specifici è vitale per un coaching di successo.
  6. COMUNICAZIONE - Un allenatore efficace comunica bene ed emana credibilità, competenza, rispetto e autorità. La comunicazione chiara significa fissare obiettivi definiti, dare feedback diretti e rinforzare i messaggi chiave.
  7. ABILITÀ DI ASCOLTO - Parte della comunicazione efficace è l’ascolto. Un allenatore efficace cercherà attivamente informazioni dagli atleti e li incoraggerà a presentare idee e pensieri.
  8. DISCIPLINA - Gli atleti devono attenersi a un insieme ragionevole di regole sia sul campo che fuori, e se queste vengono ignorate, l’allenatore è responsabile della disciplina. La fiducia tra atleta e allenatore è fondamentale in ogni momento ed è essenziale per un coaching di successo.
  9. GUIDARE CON L’ESEMPIO - Un allenatore efficace guida con l’esempio. Si attengono alle stesse regole che si aspettano dagli atleti e mostrano rispetto e ascolto nei confronti degli atleti.
  10. IMPEGNO E PASSIONE - I migliori allenatori sono fortemente impegnati nello sport e nel successo, mostrando un impegno chiaro nel guardare al meglio degli interessi degli atleti singoli. L’allenamento è un lavoro che richiede un impegno costante, poiché i migliori allenatori vivono e respirano l’arte del coaching.

L’abuso fra gli atleti di élite

Giffin, C.E., Schinke, R.J., Wagstaff, C., Quartiroli, A., Larivière, M., Coholic, D., Li, Y. (2024). Advancing Safe Sport Through Occupational Health and Safety a Thematic Meta-Synthesis Exploring Abuse within Elite Adult Sport Contexts. International Journal of Sport Psychology, 55(1), 1-31.

I sistemi di gestione della salute e sicurezza sul lavoro (OHSMS) promuovono ambienti di lavoro sani regolando i rischi e le attività di promozione della salute.

L’abuso all’interno degli sport d’élite è uno dei rischi che minacciano la salute e la sicurezza degli atleti adulti d’élite. Nonostante l’esistenza diffusa di linee guida basate su prove per proteggere gli atleti giovani, poche salvaguardie sono state sviluppate per gli atleti adulti d’élite, nonostante lo sport sia la loro occupazione principale.

Attraverso una prospettiva critica realista, abbiamo utilizzato una meta-sintesi tematica per cercare, valutare e sintetizzare 20 articoli condotti con atleti adulti d’élite che hanno subito abusi.

Presentiamo tre temi per evidenziare: (a) come i tipi di abuso (sessuale, psicologico, fisico e finanziario) siano fluidi e si amplino nel tempo, (b) i fattori contestuali che influenzano l’abuso (individuali, relazionali, strutturali, culturali), e (c) gli impatti temporali dell’abuso durante la prima parte della carriera, la fase finale  e il post-carriera sportiva degli atleti.

Il presente lavoro viene discusso in relazione al presunto progresso degli OHSMS e dello sport sicuro attraverso la protezione degli atleti dai rischi presenti all’interno dei loro ambienti lavorativi.

Prima spedizione alpinistica al femminile sul K2

Settant’anni dopo l’ascensione italiana al K2,  il Cai si prepara andando oltre la dimensione della pura impresa sportiva: 9 donne – quattro atlete italiane, quattro pakistane e una dottoressa – a giugno partiranno per  la seconda vetta più alta della terra pronte a lasciare una traccia nello sport italiano, ma anche  un’impronta a livello sociale e umano.

Federica Mingolla, Silvia Loreggian, Anna Torretta, Cristina Piolini, Samina Baig, Amina  Bano, Nadeema SaharSamana Rahim e la dr. Lorenza Pratali: sono state le protagoniste  della giornata di presentazione del progetto organizzato da Cai con EvK2CNR, associazione  che si occupa di ricerca scientifica e tecnologica in alta e altissima quota.

Non si tratterà solo di un’impresa sportiva ma di un’esperienza condivisa che potrà creare dei  legami forti, un connubio di sfide, gioie e difficoltà che lasceranno un segno nella personalità  di ciascuna di loro. L’obiettivo è raccontare il punto di vista femminile nel contesto di una  spedizione himalayana che vede scalare insieme alpiniste che provengono da mondi e culture  differenti.  A coordinare le alpiniste, sarà Agostino Da Polenza, professionista di grandissima esperienza  e profondo conoscitore di quelle montagne.  Il progetto partirà con delle giornate di training sul Monte Bianco (15-18 marzo) dove le  alpiniste si prepareranno per affrontare il K2.

Maledetti rigori

Ancora una volta sono stati i rigori a decidere il risultato di una partita importante come quella a eliminazione diretta tra Atletico Madrid e Inter.

La storia del calcio ad altissimo livello è costellata di fallimenti clamorosi, come fu ad esempio l’errore compiuto da Roberto Baggio nella finale della Coppa del Mondo con il Brasile e di altri meno conosciuti che si compiono continuamente sui campi da calcio di tutto il mondo. Il risultato vincente di questo tipo di esecuzioni è dato dall’insieme di due fattori: la concentrazione totale sulla prestazione e il timing.

Il primo fattore comporta da parte del calciatore il sentirsi focalizzato sull’esecuzione ottimale di quel gesto sportivo. Prima di partire per la rincorsa il giocatore è concentrato sulle sensazioni relative al gesto, sapendo che quando ciò avviene anche il risultato è positivo.

In questo modo, prima dell’azione,  dovrebbe effettuare la ripetizione mentale del tiro così da avere in primo piano esattamente ciò che farà nel giro del prossimo minuto. Con questa immagine nella mente il calciatore si prepara all’esecuzione vera e propria.

Il secondo elemento essenziale che ogni giocatore dovrebbe rispettare è il timing previsto per effettuare l’azione. E’ un tempo che tiene in considerazione le preferenze individuali e quelle previste dalle regole del calcio. Spesso si sbaglia un rigore poiché non si è corrisposto a queste esigenze. Si può commettere un errore accelerando troppo la preparazione del tiro, agendo in modo più impulsivo che controllato. Altre volte la preparazione può, invece, risultare troppo lunga, quasi a volere allontanare da se stessi il momento dell’esecuzione.

Un aspetto essenziale di questi compiti di precisione e che è parte del timing e della ripetizione mentale dell’azione di tiro, riguarda l’orientamento dello sguardo del calciatore in quei momenti, poiché è probabile che dove fissa lo sguardo, lì sia rivolta l’attenzione.

Dove guarda un calciatore mentre sta per eseguire un calcio di rigore? Lo ha illustrato in modo letterario ed elegante Eduardo Galeano parlando di un famoso rigore calciato da Meazza:

“Accadde nel Mondiale del 1938. Nelle semifinali, Italia e Brasile giocavano il loro destino, o la va o la spacca. 

L’attaccante italiano Piola crollò all’improvviso, come fulminato da un colpo di pistola, e col suo unico dito ancora vivo indicò il difensore brasiliano Domingos de Guia. L’arbitro svizzero gli credette, soffiò nel fischietto: rigore. Mentre i brasiliani lanciavano grida al cielo e Piola si rialzava scrollandosi la polvere, Giuseppe Meazza collocò la palla sul punto dell’esecuzione. 

Meazza era il bello della squadra. Un piccoletto elegante e innamorato, elegante esecutore di penalty, alzava la testa invitando il portiere come il matador col toro nell’assalto finale. E i suoi piedi, flessibili e sapienti come mani, non sbagliavano mai. Ma Walter, il portiere brasiliano, era bravo nel parare i rigori e aveva fiducia in se stesso. 

Meazza prese la rincorsa, e nel preciso momento nel quale stava per assestare il colpo, gli caddero i pantaloni. Il pubblico restò stupefatto e l’arbitro quasi si ingoiò il fischietto. Ma Meazza, senza fermarsi, afferrò con una mano i pantaloni e vinse il portiere, disarmato da tanto ridere.  Questo fu il gol che lanciò l’Italia verso la finale del campionato”.

Comunque che il rigore rappresenti anche una difficoltà sempre pronta a presentarsi, è confermato dall’analisi delle percentuali di realizzazione dei rigori calciati dalla nazionale italiana nel corso della sua storia. Infatti, i rigori eseguiti dagli azzurri in tutte le competizioni sono stati 86, di cui 67 sono quelli segnati e 19 quelli falliti. Pertanto quelli sbagliati rappresentano il 22% di quelli eseguiti.