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La crisi della Juventus

La situazione psicologica della Juventus può essere interessante da capire, poichè a mio avviso dimostra un’idea consolidata della psicologia. L’idea sarebbe che quando le aspettative vengono deluse per non avere ottenuti il risultato per cui sino a poco si stava lottando, le prestazioni successive vengono compromesse dall’affermarsi del pensiero secondo cui non c’è più niente da fare.

In assenza di conoscenze dirette questa è un’ipotesi, che mi sembra in ogni caso abbastanza probabile. Non potendo più lottare per tentare vincere il campionato, La Juventus è ritornato al solito modo stanco di giocare, che ha bisogno di trovarsi in difficoltà per trovare la motivazione per cambiare.

E’ curioso che calciatori di qualità cadano in questa trappola psicologica, creata da loro stessi, senza mettere in atto delle forma di resistenza a questa caduta motivazionale. Una squadra non dovrebbe ragionare in questo modo, che portano a perdere contro squadre evidentemente di livelli inferiore, ma questo non serve se gli avversari giocano e loro si limitano a una gestione ordinaria e lenta del gioco.

Questa involuzione mentale dei giocatori dovrebbe venire contrastata da allenatore e staff. Si è visto che è durata per almeno tre partite dopo la sconfitta con l’Inter. Sono più di 270 minuti giocati alla meno peggio. Come possono giocatori e squadra giustificare a se stessi individualmente e cone collettivo quest momento negativo così prolungato?

Mi sembra di sentire le parole di Al Pacino, in qualità di allenatore, in Ogni maledetta domenica, quando dici ai giocatori: “O risorgiamo come collettivo o saremo annientati individualmente”.

 

29 anni da questo video esilarante di Crujiff

Video esilarante di quando Johan Crujiff tentava nel 1995 d’insegnare a Hristo Stojchkov a saltare la corda. Che bellezza

VIDEO Stoichkov, l'ex Pallone d'oro compie 55 anni: riguarda lo sketch con  Johann Cruijff e il disastroso salto con la corda! - Mediagol"Quando

Il valore della diversità in squadra

La diversità all’interno di una squadra è un valore importante per diversi motivi:

  1. Ampiezza delle competenze: Una squadra composta da individui con background, abilità e prospettive diverse è in grado di affrontare una gamma più ampia di sfide. Questo perché ciascun membro può contribuire con le proprie competenze uniche, fornendo soluzioni innovative e prospettive differenziate.
  2. Creatività e innovazione: La diversità favorisce la creatività e l’innovazione. L’incontro di idee e punti di vista differenti può stimolare la generazione di nuove idee e approcci innovativi a problemi complessi.
  3. Resilienza: Una squadra diversificata è in grado di adattarsi meglio ai cambiamenti e di affrontare le avversità in modo più efficace. Poiché ogni membro ha esperienze e competenze diverse, la squadra può trovare soluzioni alternative anche in situazioni difficili.
  4. Rappresentatività: La diversità all’interno di una squadra può riflettere meglio la diversità della società in generale. Questo può favorire una maggiore accettazione e comprensione delle esigenze e dei punti di vista di persone provenienti da background diversi.
  5. Apprendimento e sviluppo personale: Lavorare in una squadra diversificata offre ai membri l’opportunità di imparare dagli altri e di sviluppare una maggiore apertura mentale. L’esposizione a prospettive e culture diverse può favorire la crescita personale e professionale.
  1.  Migliore presa di decisioni: La presenza di persone con prospettive diverse può portare a una valutazione più completa delle opzioni disponibili e quindi a decisioni più informate e ponderate.
  2. Migliore performance: Studi hanno dimostrato che le squadre diverse tendono a ottenere risultati migliori rispetto a quelle omogenee, poiché possono sfruttare al meglio le capacità di ciascun membro e affrontare una varietà più ampia di problemi.
  3. Riduzione dei rischi di conformismo: La presenza di persone con background e punti di vista diversi può aiutare a prevenire il conformismo all’interno della squadra, incoraggiando la sfida e la discussione aperta delle idee.
  4. Migliore reputazione e attrazione di talenti: Le organizzazioni che promuovono la diversità e l’inclusione tendono ad avere una migliore reputazione e ad attrarre talenti di alto livello provenienti da una varietà di contesti e culture.

In conclusione, la diversità all’interno di una squadra porta a una serie di vantaggi, tra cui decisioni migliori, migliori performance, crescita del mercato, riduzione dei rischi di conformismo e miglior reputazione, rendendo così la diversità un valore cruciale per il successo della squadra.

 

Sport è divertimento e muoversi pensando

Quando mi viene chiesto di parlare dei giovani che fanno sport, soprattutto sino a 14 anni, aldilà di ogni spiegazione teorica quello che voglio evidenziare e l’importanza del divertimento e del muoversi pensando.

Divertirsi vuole trarre piacere da un’attività per come la si fa, per l’energica fisica e mentale che s’impiega, senza avere uno scopo specifico da raggiungere o un risultato da ottenere.

Muoversi pensando riguarda, invece, imparare a giocare a calcio, a tirare di scherma piuttosto che giocare a tennis avendo sempre un’idea in testa che guida le azioni del giovane. Tutto ciò può avvenire in modo grossolano se si è principianti o in modo tecnicamente sempre migliore mano a mano che si procede in questa esperienza. In altre parole, non c’è movimento senza pensiero, per cui imparare o allenarsi significa muoversi rappresentandosi mentalmente l’esecuzione tecnica.

Una pratica sportiva che garantisce questo tipo di sviluppo stimola positivamente la motivazione a continuare nell’impegno e favorisce quella convinzione così necessaria per diventare esperti in qualche attività e cioè che “miglioro grazie al mio impegno”.

Purtroppo la mete dei giovani nella maggior parte dei casi non è rivolta a soddisfare queste due esigenze. Molti si allenano per imparare uno sport così come molti gareggiano per vincere. La questione non fare bene uno sport ma trovarsi a proprio agio nel fare quello che piace. L’obiettivo non è fare una bella azione o un punto o un gol ma esprimere al meglio le proprie capacità. Nel tennis ad esempio molti ragazzi vogliono tirare forte per fare subito punto, senza avere la volontà di costruirsi con il gioco l’occasione di chiudere lo scambio. In questo tirano ma non pensano.

Questo modo di fare è l’antitesi dello sport.

La leadership per gli allenatori di élite

Gomes, A.R., Araújo, V., Resende, R., & Ramalho, V. (2018). Leadership of elite coaches: The relationship among philosophy, practice, and effectiveness criteria. International Journal of Sports Science & Coaching, 13(6) 1120–1133.

La filosofia del coaching è un argomento importante sia nella letteratura sul coaching che nell’ambito dell’educazione. Tuttavia, ci sono poche ricerche riguardanti il modo in cui le filosofie dei coach si traducono nella pratica. Inoltre, c’è molto poca informazione sui criteri specifici di efficacia che i coach utilizzano per valutare le proprie filosofie e pratiche.

Questo studio affronta il complesso insieme di relazioni tra le filosofie dei coach, le percezioni della loro pratica e i criteri di efficacia. Dieci coach d’élite sono stati selezionati per lo studio (9 maschi; 1 femmina), tutti con carriere di successo nei rispettivi sport.

I coach hanno risposto a una intervista che trattava i temi della filosofia, della pratica e dei criteri di efficacia.

I risultati hanno indicato quattro temi principali:

  • l’importanza della motivazione degli atleti
  • l’importanza di costruire una relazione con gli atleti basata sul rispetto personale
  • la presenza di elevati livelli di coesione all’interno della squadra
  • la necessità di regole formali e informali che regolano il funzionamento della squadra.

Ci sono state diverse aree in cui i coach non hanno stabilito una relazione tra filosofia, pratica e criteri di efficacia. I risultati suggeriscono la necessità di educare i coach riguardo ai metodi per stabilire una relazione tra le loro filosofie, le loro pratiche e i criteri di efficacia che utilizzano per valutare le proprie performance come coach.

 

La relazione profonda tra arte e cervello: una forma di auto-cura

Lo studio della relazione  tra le scienze del cervello e le arti è stato per la prima volta coniato “neuroestetica” alla fine degli anni ’90 da Semir Zeki,  neuroscienziato e docente all’University College di Londra. Gran parte della ricerca iniziale si è concentrata sull’estetica empirica, esaminando le basi neurali che sottendono il modo in cui percepiamo e giudichiamo opere d’arte ed esperienze estetiche.

Antonio Damasio, neurologo che studia i sistemi neurali sottostanti l’emozione, la presa di decisione, la memoria, il linguaggio e la coscienza presso l’Istituto per il Cervello e la Creatività dell’Università della California del Sud, afferma: “La gioia o il dolore possono emergere solo dopo che il cervello registra cambiamenti fisici nel corpo”. Continua, in un’intervista a Scientific American Mind: “Il cervello riceve costantemente segnali dal corpo, registrando ciò che sta accadendo dentro di noi. Successivamente elabora i segnali in mappe neurali, che poi compila nei cosiddetti centri somatosensoriali. I sentimenti si verificano quando le mappe vengono lette e diventa evidente che sono stati registrati cambiamenti emotivi”.

La psicoterapeuta artistica Sofie Dobbelaere, concorda sul fatto che recarsi in una galleria per ammirare l’arte può essere un’esperienza di guarigione potente. “Quando osserviamo l’arte, ci connettiamo con la nostra umanità e quindi entriamo in dialogo con qualcosa al di fuori di noi stessi e questo può aiutarci a sentirci connessi e come se facessimo parte di qualcosa di importante”.

La cultura frenetica del tutto e subito ci porta a consumare le opere d’arte nello stesso tempo che dedichiamo a leggere una email. Talvolta, però, l’arte riesce a imporci di osservare un quadro o un’installazione per un tempo più lungo. Gli esperti suggeriscono di “guardare lentamente”, di gustare quindi un’opera d’arte, di spendere del tempo anche per diversi minuti o andare in un museo anche solo per contemplare un’unica opera. Le gallerie sono piene di opere incredibili, ma osservare solo una su un livello più profondo può essere incredibilmente significativo.

Susan Magsamen, ha messo in luce che il 95% degli adulti nel Regno Unito sia d’accordo sul fatto che visitare musei e gallerie sia benefico ma che il 40% li visita meno di una volta all’anno.  I mesi invernali sono il momento perfetto per visitare le mostre e per prendersi cura di se stessi cone questa forma di auto-trattamento psicologico.

La complessità di lavorare con squadre di professionisti

About – International Society of Sport Psychology

DATE: Wednesday, April 3rd, 2024 Speakers: Dr. Gloria Balague Length of Session: 90 minutes (60-minute lecture, 30-minute Q&A) Language: English (Live captioning in English and other languages) Time: 12:00 UTC

(New York 8:00, Belo Horizonte, 9:00, London 13:00; Beijing 20:00, Taipei, 20:00, Seoul 21:00) Where: Zoom (Link sent upon registration)

Program Overview 

In this presentation, Dr. Balague will outline the essentials of providing sport psychology services to professional athletes, teams, and organizations. She will discuss how to gain entrance in these organizations and how to engage with the different stakeholders, such as management, coaches, medical staff, sport scientists, and athletes. Dr. Balague will highlight the importance of understanding coaches’ areas of interests/concerns and communication and coaching styles, and team strategies, as well as the value of building effective relationships with medical and sports science personnel, scouts, and equipment staff. Furthermore, Dr. Balague will delve into the core of her work with players and athletes, spanning from educational efforts to targeted interventions. Dr. Balague will share her expertise on the critical need to grasp the unique demands placed on athletes, their interactions with coaches, and their roles within the team. Dr. Balague will wrap up the presentation with a discussion around the organizational challenges and considerations associated with delivering sport psychology services in professional sport organizations, offering attendees a deep dive into the intricacies of successfully navigating this specialized area of work.

About our speaker 

Dr.Gloria Balague is a native of Barcelona, Spain. She is a Clinical Associate Professor Emerita in Psychology at the University of Illinois at Chicago. She has worked extensively with USA Track & Field, USA Gymnastics and USA Field Hockey. Dr. Balague was at the 92 and 96 Olympics as sport psychologist. She has been the sport psychologist for the Chicago Bears from 2015-2020, and for the USA Rhythmic Gymnastics program from 2016 to 2023. 10 years ago, she joined Don Hellison in starting the TPSR Alliance (tpsr-alliance.org) a group aiming at using sport and physical activity as a tool to promote personal and social responsibility in youth. Dr. Balague was the first President of the Catalan Association of Sport Psychology, Past-President of Division 47 (Sport and Exercise Psychology) of the APA, and also of Division 12 (Sport Psychology) of the International Association of Applied Psychology, and in 2016 received the Outstanding Professional Practice Award from the Association of Applied Sport Psychology. Dr. Balague has imparted doctoral level courses in Sport Psychology in Spain, Argentina and Chile and advised doctoral dissertations in several countries.

Program Format Attendees can participate in an ISSP Master Class session right from their office or home. Registrants will be provided the Zoom link upon registration to access the presentation right on the web in real time. If you are unable to watch the session live, a recording will be provided afterward to all registrants.

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La storia di Malgioglio con i bambini cerebrolesi

Se avete cinque minuti, leggete fino alla fine questo articolo. Per conoscere la grandezza. Quella vera. (da PierLuigi Pinna su X, @pierpi13)

Astutillo Malgioglio, per gli amici Tito, era il portiere di riserva dell’Inter di Trapattoni, quella dello scudetto dei record. Nel 1987 lo andai ad intervistare per Il Giorno, il quotidiano per cui allora lavoravo, a Piacenza. Avevo saputo che Malgioglio, allora 29enne, aveva aperto vicino a casa una palestra per la rieducazione motoria dei bambini cerebrolesi; aveva chiamato la struttura ERA 77 (acronimo di Elena, il nome della figlia nata appunto nel 1977, di Raffaella, la moglie, e di Astutillo) e coadiuvato dalla moglie prestava questo servizio gratuitamente mettendo a disposizione tutto il suo tempo libero.

Per questa intervista vinsi un premio a Como, che mi venne consegnato da Pierluigi Marzorati, il campione della Pallacanestro Cantù, somma che girai immediatamente all’Unicef. Malgioglio mi raccontò cose bellissime e bruttissime. Cose vere.

Mi raccontò che stava facendo tutto questo da 7-8 anni ma a fari spenti, quasi in incognito: perché non era buona cosa, per come andavano le cose nel mondo del pallone, che un calciatore professionista si distraesse con pensieri (o attività) inutili o bizzarre come, appunto, aiutare il prossimo. A meno di non incontrare sulla propria strada due persone come Nils Liedholm e Sven Goran Eriksson, come capitò a Tito nei due anni alla Roma dall’83 all’85, che convinsero Dino Viola a mettere a disposizione di Malgioglio, nel tempo libero, la palestra di Trigoria, per permettergli di fare anche a Roma quel che aveva cominciato a fare a Piacenza.

Mi raccontò che l’Associazione Calciatori, sul suo giornale, aveva aperto una sottoscrizione tra tutti gli iscritti (gli oltre mille calciatori di serie A, serie B, serie C1 e serie C2) per raccogliere fondi a favore dell’attività di Tito; e che alla fine il ricavato era stato di 700 mila lire, che con un certo imbarazzo l’AIC aveva provveduto a fargli avere.

Mi raccontò, soprattutto, che un giorno alla Pinetina Jurgen Klinsmann lo aveva avvicinato e gli aveva chiesto come mai finiti gli allenamenti lo vedesse andarsene, sempre, così di fretta a Piacenza. Tito gli aveva spiegato il perché e Klinsmann gli aveva detto: domani vengo con te, voglio vedere con i miei occhi quello che fai. Klinsmann mantenne la promessa. Salì sul maggiolino scassato di Malgioglio, andò con lui a Piacenza, passo l’intero pomeriggio a guardare Tito assistere i bambini cerebrolesi.

Poi, prima di risalire sul maggiolino per farsi riportare a Milano, sfilò di tasca il libretto degli assegni e senza dire una parola scrisse 70 milioni (settanta milioni), staccò l’assegno e lo consegnò al compagno. Aveva gli occhi lucidi. Come quelli di Malgioglio”. [Paolo Ziliani da Il Fatto Quotidiano]

Come prepararsi alle partite più importanti

Prepararsi a giocare partite importanti non è facile neanche se si è in forma. Preparazione fisica e tecnico-tattica sono fattori indispensabili ma non sufficienti.

In questi momenti l’auto-controllo è il fattore da attivare maggiormente. Queste sono le ore in cui bisogna mostrare a se stessi e a tutta la squadra, che quali che saranno le sfide in partita si troverà la soluzione adatta. L’attenzione deve essere rivolta solo a quello che si è deciso di fare. Non c’è nulla da inventarsi, le risposte sono già lì, a portata di mano e da attuare con decisione e velocità. Gli avversari vivono la stessa condizione di paura e di stress, nessuno ne è immune.

Per queste ragioni, vince chi si butta dietro le spalle i pensieri opprimenti e decide di vivere intensamente ogni secondo della partita. Quindi, prepariamoci a entrare in questo contesto agonistico. Tante volte si attinto alla volontà e alla voglia di fornire la migliore prestazione individuale e di squadra. Facciamolo anche ora! Calma, ritmo e velocità.

Charles Coste è il campione olimpico vivente più anziano

Charles Coste, 100 anni, è il più vecchio campione olimpico vivente e farà il tedoforo alle Olimpiadi di Parigi di questa estate. È nato l’8 febbraio 1924 a Ollioules, Francia, e a 24 anni, nel 1948,  fu selezionato per i primi Giochi del dopoguerra. E’ stato campione francese di inseguimento e rimandò di un anno l’ingresso nel professionismo per poter partecipare alle Olimpiadi. “Il mio club mi consigliò di aspettare. Mi dissero: ‘Se sei campione olimpico, lo sarai per tutta la vita’”.

Da professionista vinse già al primo anno una delle più grandi competizioni ciclistiche dell’epoca: il Grand Prix des Nations, battendo Fausto Coppi. Si è descritto dicendo: “Ero un corridore ma soprattutto un inseguitore. Ho corso tutte le domeniche al Vel d’Hiv, c’erano 15 mila persone sugli spalti. Per le gare su strada era lo stesso, ovunque andassi c’era una folla incredibile”. Coste ha corso due volte il Tour de France e quattro il Giro d’Italia.

Charles Coste