Antonio Rüdiger: “Da dove vengo, la pressione non riguarda il calcio.
La pressione è non sapere cosa mangerai domani.
Intendo… pressione??? No, no, no.
Ogni volta che sento la minima pressione quando mi allaccio gli scarponi prima di una partita di calcio, penso a un ricordo specifico, e subito ritrovo la serenità.
La prima volta che sono tornato in Sierra Leone con i miei genitori dopo la guerra civile, eravamo in taxi dall’aeroporto, e ci siamo impantanati nel traffico. Eravamo lì, fermi, e guardavo fuori dal finestrino tutta la povertà e la fame. Uomini e donne vendevano frutta, acqua, vestiti e altre cose ai passeggeri in arrivo dall’aeroporto.
Ed è in quel momento che ho capito perché i miei genitori non chiamavano mai il nostro quartiere a Berlino “il ghetto”.
Dicevano sempre che era il paradiso in terra. E non è stato fino a quando sono andato in Sierra Leone che ho finalmente compreso il loro punto di vista, perché un uomo si avvicinò alla nostra macchina vendendo del pane e sembrava davvero disperato. Abbiamo detto: “No, va bene”.
Poi un altro uomo si avvicinò alla nostra macchina vendendo del pane e cercò di vendercelo con più insistenza, dicendo quanto fosse fresco.
“No, no, grazie”.
Poi un terzo uomo si avvicinò alla nostra macchina vendendo del pane e faceva davvero il massimo. Parlava di quanto fosse il miglior pane della città e pregava, per favore, per favore, di comprare il pane da lui.
Penso a questo ricordo quando comincio a sentire pressione a causa del calcio. Perché la verità è che tutti e tre quegli uomini vendevano lo stesso pane esatto, dalla stessa panetteria, alle stesse macchine.
Una di quelle famiglie avrebbe avuto un piatto di cibo sulla tavola.
Le altre due, forse no.
Questa è pressione. Questa è la vita reale.”