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Dalla Mongolia all’Old Trafford per soddisfare un sogno

Coltivare le proprie passioni è uno dei modi più belli per vivere la vita. Fare qualcosa solo per il piacere che si prova nel farlo, non per soldi o per compiacere qualcuno, tantomeno per dovere. Sono quelle attività che si intraprendono per soddisfare il bambino che c’è in noi, che spesso sono etichettate come inutili, che non portano a niente e magari sono pure faticose e noiose agli occhi delle altre persone.

Sono quelle attività, però, che danno un senso profondo alla vita che si conduce, che nel loro svolgersi rendono felici, che aiutano ad accettare meglio il resto della propria vita e allontanano per un po’ di tempo le delusioni.

Una storia come questa l’ha realizzata Ochirvaani Batbold, 26 anni, che dalla Mongolia ha pedalato per 10mila km per realizzare il  sogno d’incontrare il suo idolo Wayne Rooney e fare il tifo per il Manchester United.

Da giovane è stato un calciatore emergente del suo Paese, la Mongolia giocando in alcune squadre del campionato mongolo di massima serie.  Poi qualcuno gli promise un provino  con i Los Angeles Galaxy in cambio di  3mila euro, invece perse i suoi soldi perchè la proposta si rivelò essere una truffa. Sembra l’opportunità di una vita. Per uscire dalla disperazione scrive una lettera al Manchester United spiegando la sua situazione e così un anno fa si mette in marcia, impiegando tutto questo tempo per giungere in Inghilterra.

L’ex attaccante inglese non ci crede: “Ho voluto incontrarti a tutti i costi”, dirà Rooney all’emozionato Batbold appena giunto a Manchester, “per dirti “bravo!”. Tu pensi che noi calciatori ti abbiamo dato l’ispirazione. Ma ciò che hai fatto è qualcosa di incredibile e dovresti esserne molto orgoglioso”.

 

Effetti social media sui giovani

Bozzola E, Spina G, Agostiniani R, Barni S, Russo R, Scarpato E, Di Mauro A, Di Stefano AV, Caruso C, Corsello G, Staiano A. The Use of Social Media in Children and Adolescents: Scoping Review on the Potential Risks. Int J Environ Res Public Health. 2022 Aug 12;19(16):9960.

I social media sono sempre più utilizzati dai bambini e dagli adolescenti, specialmente durante la pandemia di COVID-19 e l’emergenza sanitaria. Sebbene l’uso dei social media si sia dimostrato utile, un uso eccessivo o non corretto può rappresentare un fattore di rischio per la salute mentale, inclusi depressione, ansia e dipendenza.

L’uso dei social media può anche essere correlato a una nutrizione non adeguata, con il consumo di cibo spazzatura pubblicizzato che porta all’aumento di peso, obesità, carie dentarie e comportamenti alimentari non salutari. Sono state riscontrate associazioni anche con l’aumento di problemi fisici dovuti a uno stile di vita sedentario, obesità e posture non fisiologiche. D’altro canto, i social media possono causare problemi con la visualizzazione e l’accettazione dell’immagine corporea, specialmente nelle giovani adolescenti con bassa autostima, che possono cercare contenuti per perdere peso rapidamente, e questo può favorire l’estensione dei disturbi anoressici.

I bambini e gli adolescenti che usano i social media per molte ore al giorno sono anche a maggior rischio di problemi comportamentali, cyberbullismo, adescamento online, difficoltà di sonno, problemi oculari (come miopia, affaticamento degli occhi, secchezza, visione offuscata, irritazione, sensazione di bruciore, iniezione congiuntivale, rossore oculare e malattia dell’occhio secco) e mal di testa. Inoltre, l’uso incontrollato dei social media può portare a sexting, esposizione alla pornografia, esposizione a materiale sessuale indesiderato online e attività sessuale precoce. Gli utenti dei social media incontrano più rischi online rispetto ai loro coetanei, con un rischio aumentato per coloro che hanno maggior competenza digitale.

La consapevolezza pubblica e medica deve aumentare su questo argomento e devono essere trovate nuove misure di prevenzione, a partire dai professionisti della salute, dai caregiver e dagli sviluppatori di siti web/applicazioni. Le famiglie dovrebbero essere educate sui pericoli e le preoccupazioni legate all’avere bambini e adolescenti online. Prerequisito per informare le famiglie su come gestire i social media è educare coloro che sono responsabili della formazione, inclusi i professionisti della salute.

In dettaglio, ai pediatri dovrebbe essere ricordato di monitorare l’esposizione ai media (quantità e contenuto) durante le visite periodiche di controllo. Devono tenere a mente una potenziale correlazione tra l’uso problematico dei social media e depressione, obesità e comportamenti alimentari non salutari, problemi psicologici, disturbi del sonno, dipendenza, ansia, problemi legati al sesso, problemi comportamentali, immagine corporea, inattività fisica, adescamento online, compromissione della vista, mal di testa e carie dentale.

I pediatri possono anche consigliare ai genitori di guidare i bambini verso contenuti appropriati consultando valutazioni, recensioni, descrizioni della trama e facendo un precedente screening del materiale. Dovrebbero informare i genitori sul potenziale rischio del commercio digitale di facilitare il cibo spazzatura, la cattiva alimentazione e gli alimenti zuccherati, facilitando sovrappeso e obesità. Al contrario, è necessario raccomandare una dieta sana, un’adeguata attività fisica e il sonno.

I pediatri possono anche svolgere un ruolo nella prevenzione del cyberbullismo educando sia gli adolescenti che le famiglie sui comportamenti online appropriati e sul rispetto della privacy. Dovrebbero anche promuovere la comunicazione faccia a faccia e limitare la comunicazione online tramite i social media. I pediatri possono incoraggiare i genitori a sviluppare regole e strategie sull’uso dei dispositivi multimediali e dei social media a casa, nonché nella vita quotidiana.

La mentalità di Coco Gauff

Brad Gilbert ha iniziato a lavorare con Coco Gauff nel luglio 2023, unendosi al suo team come consulente. A novembre, è diventato il suo allenatore due mesi dopo che lei aveva vinto gli US Open, il suo primo titolo del Grande Slam. “Coco è un talento speciale,” ha detto pochi giorni dopo la grande vittoria di Gauff. “Ha un’abilità incredibile, ha una grande resilienza.”

Lavorare con grandi del tennis non è una novità per Gilbert, che ha allenato giocatori di alto livello come Andrea Agassi e Andy Roddick. Sotto la sua guida, Agassi ha vinto sei dei suoi otto titoli del Grande Slam e Roddick ha conquistato la vittoria agli US Open del 2003.

Prima degli Australian Open di gennaio, Gauff ha parlato con i giornalisti della pressione che in passato si era messa addosso per vincere tornei di alto profilo. “Penso di aver messo troppa pressione su di me per vincere uno Slam. Pensavo che dovevo farlo,” ha detto Gauff in quel momento. “Quando sono apparsa sulla scena a 15 anni, sentivo di dover vincere uno Slam come adolescente perché tutti lo pensavano”.

Riflettendo sulla sua sconfitta al primo turno a Wimbledon l’anno scorso, Gauff ha detto: “Il mondo non è finito,” e ha aggiunto, “Il sole continua a splendere. Ho ancora i miei amici e la mia famiglia.” “Ho capito che perdere non è poi così male, e che dovrei concentrarmi sulla lotta e sul processo e godermela,” ha aggiunto Gauff. “Ho scoperto di poter giocare in modo più libero e di avere più fiducia in me stessa.” Gilbert ha parlato della mentalità di Gauff prima del Roland Garros, notando che era “concentrata sul momento” nonostante il prestigioso evento europeo fosse a sole sei settimane di distanza in quel periodo.

Anche se allenarsi per ottenere vittorie è una cosa seria, Gilbert sa come portare il divertimento. Gauff ha ammesso di essere stata “preoccupata” all’inizio per la loro differenza di età prima di incontrarsi, ma ha imparato che Gilbert “ha ancora la mente di un ventenne.” Ha scherzato: “Forse anche più giovane, a volte quella di un bambino di dieci anni.

Come usano i social media gli atleti

Gli studi riguardanti l’uso dei social media da parte degli atleti evidenziano sia esperienze e implicazioni positive (ad esempio, supporto del team, motivazione, gestione dell’immagine e connessione), sia negative (ad esempio, critiche, obblighi e ansia). È importante notare che questi studi si concentrano esplicitamente sui social media, che rappresentano solo un aspetto dell’uso degli smartphone.

Uno studio su atleti canadesi ha evidenziato una frequenza d’uso dello smartphone di 32 ore settimanali, e che l’applicazione più utilizzata riguarda i social media, che supera di 7 ore ogni altro tipo d’utilizzo, mettendo in luce una forte presenza di queste attività durante la settimana, che probabilmente supera il numero di ore dedicato all’allenamento.

Questa ricerca ha evidenziato nel dettaglio aspetti specifici del rapporto che gli atleti possono instaurare con i loro smartphone. Questi andranno confermati da altre indagini ma sono coerenti con quanto descritto sugli adolescenti. Gli atleti dichiarano di usare Messenger, Instagram, Snapchat, YouTube, music, e strumenti organizzativi come il calendario, allarme, e applicazioni e-mail. L’81% dichiara di usarlo in modo moderato o quasi sempre-intensivo.

Gli utenti intensivi hanno riportato di avere lo smartphone sempre con sé o vicino a loro, e di usare il dispositivo per “tutto” durante la giornata. Hanno descritto la necessità di controllare e rispondere alle notifiche costantemente e con immediatezza. Gli utenti moderati si sono identificati in termini simili a quelli degli utenti intensivi di smartphone, con la differenza che cercavano regolarmente di monitorare l’uso dello smartphone e di ridurre le abitudini non utili legate allo smartphone. Al contrario, gli utenti che lo usano poco hanno riferito di sentire il bisogno di usare il telefono solo per compiti essenziali e, per il resto, di sentirsi in grado di separarsi e ignorare il dispositivo, senza sentirsi obbligati a rispondere a messaggi, chiamate o notifiche.

Il paradosso più grande espresso dagli atleti riguarda l’esperienza di essere separati dal loro smartphone. Molti identificano il prendere deliberatamente una “pausa” dal telefono come una fonte di sollievo. Tuttavia, questo sollievo è presente solo quando gli atleti non aspettano informazioni importanti tramite il loro telefono. Se la separazione dallo smartphone è forzata (ad esempio, dimenticare il telefono, il telefono che si blocca), ciò può indurre uno stato di ansia e/o panico. Un’atleta ha spiegato la sua posizione dicotomica: “Penso di essere più calma quando so che non ne ho bisogno. Perché so che se ne ho bisogno, allora aspetto controllandolo, diventando ansiosa… È un misto tra libertà e ansia. È libertà di non avere semplicemente il telefono. E poi ansia, ovviamente, se stai aspettando qualcosa.”

È chiaro che gli atleti universitari usano i loro smartphone per gestire ruoli e richieste in contesti multipli (ad esempio, sport, scuola, casa), e quindi, concentrarsi semplicemente sulle implicazioni negative dell’uso non riconosce l’intera gamma di interazioni degli atleti con i loro telefoni. Partendo da questi dati relativi all’uso dello smartphone nel contesto sportivo, si consiglia agli psicologi dello sport, agli allenatori e agli atleti di evitare un approccio unico per tutti alle regole d’uso.

Età di accesso ai socialmedia

A chi è ancora convinto che l’uso del cellulare e dei social media da parte dei bambini e degli adolescenti sia un fatto assolutamente positivo può leggere queste informazioni.

La città di New York ha comunque fornito un esempio di cosa si possa fare a livello globale avviando un procedimento legale contro tre colossi dei social media: TikTok, Facebook e YouTube. Li accusa di aver esacerbato la crisi della salute mentale tra bambini e adolescenti, sfruttando la loro fragilità per generare dipendenza dalle loro piattaforme. Il sindaco Eric Adams ha presentato questa causa, che richiama un’azione legale simile avviata in California nel 2022. La denuncia si concentra sulle tattiche di marketing aggressive e sugli algoritmi, che secondo l’accusa “attirano, intrappolano e alimentano la dipendenza nei giovani”, esponendoli a contenuti dannosi.

La Florida ha invece deciso che le piattaforme sono tenute a chiudere gli account che si ritiene siano utilizzati da minori di 14 anni, mentre i ragazzi che hanno già 14 o 15 anni possono avere un profilo solo con il consenso dei genitori.

In Francia, Macron ha istituito una commissione su questi temi che è giunta alle seguenti proposte. Secondo la commissione l’uso di smartphone e tablet deve essere regolato in proporzione dell’età. In sintesi le regole sono le seguenti: divieto assoluto di schermo prima di aver compiuto 3 anni, divieto di cellulare prima degli 11 anni, divieto di internet prima dei 13 anni, divieto di accesso ai social prima dei 15 anni, fra i 15 e i 18 anni accesso solo ai social “etici”, con esclusione di Instagram, Tiktok, Snapchat e Telegram. Gli esperti hanno anche lanciato un appello alla lotta contro i cosiddetti “servizi predatori” che mettono a contatto gli utilizzatori con l’avvio di flussi automatici di video, nella stragrande maggioranza caratterizzati da scene di pornografia e di violenza. E’ una sorta di guida a uso particolare dei genitori, la cui responsabilità individuale è direttamente chiamata in causa.

In Italia l’età minima per iscriversi sui social network è 14 anni, mentre sono necessari 18 anni per concludere un contratto online per una determinata applicazione o per entrare in una community. In altre parole, non possono iscriversi a Facebook, Instagram, TikTok e tutti gli altri social network i minori di 14 anni. Però esiste una postilla che permetterebbe a questi di entrare a far parte delle piattaforme social, sotto forma di utenti. I minori di 14 anni, infatti, possono avere l’accesso se ottengono il consenso dei genitori. Il problema è che i pericoli del web sono tanti e i più giovani, molto spesso, ne sono ignari. Spinti dal gruppo e dalla community decidono di navigare e iscriversi sui social per sentirsi parte di qualcosa per emulazione nei confronti dei più grandi.

Questi sono esempi di come molte istituzioni si stanno muovendo per arginare i problemi generati dall’uso dello smartphone fra i giovani e di quanto stia diventando sempre più evidente la percezione di gravità di questo fenomeno nel mondo occidentale.

Il gioco libero come base per lo sviluppo dei bambini

I bambini ricercano le sensazioni forti che gli fornisce il gioco libero, in cui con i loro amici vivono situazioni che si organizzano da soli, liberi dal coinvolgimento degli adulti. Purtroppo oggi questa opportunità è quasi del tutto assente, la loro vita è totalmente organizzata e si svolge quasi sempre sotto la guida di un adulto. Quando non sono a scuola o a casa di solito praticano un’attività sportiva organizzata da adulti di una società sportiva.

Ciò determina l’incapacità d’imparare a organizzare da soli il proprio tempo, non essere liberi di comportarsi in modo spontaneo perchè qualche adulto li sta sempre osservando esercitando in qualche modo un controllo. Negli anni, questa impostazione di vita determina l’incapacità di risolvere i conflitti con i coetanei, una limitata capacità nel prendere decisioni e nel sapere affrontare qualsiasi difficoltà da soli senza l’aiuto di un adulto.

Diventati adolescenti hanno difficoltà a gestire i cambiamenti tipici di questa età, e hanno bisogno che qualcuno risolva per loro i problemi che incontrano. Come vivono oggi è l’esatto contrario di come sono cresciuti abitualmente  i giovani in passato. Si andava a scuola, si tornava a casa, il pomeriggio passava tra i compiti  e andare fuori con gli amici, all’oratorio, agli scout, in bicicletta, ai giardini a giocare e poi si ritornava a casa per cenare. Era una vita centrata sul gioco libero, essenziale per lo sviluppo e per la  salute fisica, mentale e sociale mentre ora  questa opportunità di impegnarsi in giochi liberi all’aperto viene negata.

A partire dagli anni ’90, in modo molto accelerato rispetto agli anni precedenti, è iniziato un cambiamento radicale del modo di vivere che è ancora in corso di sviluppo:

  • i genitori hanno preferito pensare che il gioco libero all’aperto fosse troppo pericoloso per i loro figli perchè avrebbero corso il rischio di essere aggrediti da persone che avrebbero abusato di loro,
  • lo sport si è definitivamente appropriato del gioco sportivo, gestito da società dedite alla specializzazione in un’unica disciplina, determinando così la limitazione e forse la scomparsa del gioco libero,
  • l’uso degli smartphone a partire dal 2012 ha permesso ai giovani di confondere la vita virtuale prodotta dai social media con la realtà vissuta, creando le basi per lo sviluppo di quella che ora si chiama la generazione ansiosa,
  • il gioco rischioso è scomparso in nome di una falsa idea di sicurezza.  Il gioco libero, emozionante e avvincente, che comporta incertezza dell’esito e una possibilità di farsi male, oggi non viene più accettato. Il rischio percepito non viene più considerato come un’opportunità per lo sviluppo dei processi decisionali e lo sviluppo personale. Oggi i genitori pensano invece che i figli in casa attaccati al cellulare siano almeno salvi da queste situazioni di pericolo, mentre non sanno che, forse, il loro figlio sta guardando un video porno sul suo smartphone oppure si sta incolpando di non avere i muscoli scolpiti come quegli altri su Instagram e lo stesso per una ragazza adolescente che non si sente bella come quelle che pubblicano sui social o che vede altri che si divertono a una festa mentre non è vero, è solo un selfie in cui tutti simulano la gioia che non provano.
Non dobbiamo di certo incolparci per come i giovani vivono oggi. Si tratta di comprendere che questo stile di vita presenta molte limitazioni e non stimola lo sviluppo personale.

 

Klopp se ne va e Guardiola ci sta pensando

Jurgen Klopp ha concluso la sua esperienza al Liverpool riportandolo in questi anni a ottenere grandi risultati. Pep Guardiola dopo avere vinto un’altra Premier League ha fatto capire che probabilmente resterà ancora solo un anno alla guida del Manchester City. Klopp aveva detto all’inizio che i tifosi avrebbero visto un calcio emozionante e così è stato mentre Guardiola ha applicato e modificato le sue idee raggiungendo risultati impensabili come fra gli altri il triplete.

Il calcio logora, vincere ogni settimana logora gestire un ambiente squadra ad alto tasso emotivo logora. Questi allenatori, ogni settimana, oltre a preparare tatticamente la partita devono sostenere e spingere la squadra a impegnarsi al massimo, perchè meno di questo non è previsto ed è pericoloso per il gioco in campo e per la necessità di mantenere la squadra molto unita. Per questo lo sport è alternativo alla guerra, l’obiettivo è sconfiggere l’avversario, nel rispetto delle regole ci si impegna a vincere e alla fine ci si abbraccia.

Tuttavia questa esagerata necessità di essere sempre al meglio come persone e collettivo negli anni esaurisce lo slancio vitale verso il calcio e probabilmente si comincia ad avere la nausea verso questo tipo d’intensità, che si ripete uguale a se stessa ogni settimana. Si può perdere l’autocontrollo come è successo a Massimiliano Allegri oppure si lascia per un po’ o per fare altro, non importa quanto sei pagato o lasciare come Spalletti perchè si pensa di avere raggiunto un obiettivo irripetibile.

Lo sport di livello assoluto, esaurisce emotivamente e probabilmente Klopp e Guardiola l’hanno capito. Il primo ha appena iniziato questa nuova strada, l’altro ci sta pensando.

Come cambiare atteggiamento durante una partita di tennis

La nostra vita quotidiana è piena di episodi in cui le nostre prestazioni sono influenzate dagli stati d’animo e dalle emozioni che proviamo in quei momenti. Non sempre l’umore con cui si affrontano prove impegnative è di aiuto nel favorire prestazioni soddisfacenti, talvolta ci si può sentire troppo arrabbiati per stare ad ascoltare qualcuno le cui idee potrebbero essere utili per noi, oppure si è pessimisti sulla possibilità di essere in grado di fare bene o ancora si ritiene di non essere capaci per cui si affronta un determinato compito in modo poco convinto. Quante volte si pensa: “Se non mi fossi sentito in quel modo, avrei fatto sicuramente meglio.” Sono pensieri comuni che mettono in evidenza il ruolo centrale delle emozioni. 

Lo stesso avviene sul campo di gioco durante una partita di tennis e … racchette sbattute per terra, darsi addosso, pensare che non si giocherà mai più una partita, arrabbiature contro l’avversario che perde tempo o contro il destino che fa andare fuori solo le nostre risposte sono modi di reagire in cui tutti siamo inciampati.

Un modo utile per migliorare la propria consapevolezza in relazione all’influenza delle emozioni nel gioco del tennis consiste nel ripensare:

  1. alle partite migliori che si è giocato, focalizzandosi sulle azioni effettuate per renderle possibili e sulle emozioni provate. In tal modo si diventa  più consapevoli del proprio modo di pensare e di sentire e di come questo influenza il nostro modo di giocare.
  2. ai primi game della partita, identificando quali sono stati gli stati d’animo e i pensieri prevalenti. Sono contento oppure vorrei essere diverso? Quali sono le emozioni e i pensieri che potrebbero migliorare l’efficacia del mio gioco all’inizio della partita?

Sono, invece, da evitare le spiegazioni pessimiste che portano a non cambiare e a accettare il proprio gioco in modo fatalistico, dando per scontato un pensiero del tipo: “Io ho sempre fatto questi errori e non sono mai riuscito a cambiare” oppure “Sono sempre stato un tipo nervoso, che si arrabbia facilmente appena comincia a sbagliare e non posso mica cambiare adesso dopo una vita passata a giocare così.”

Potrebbe anche essere vero che si è provato a cambiare senza avere ottenuto un risultato soddisfacente, convincendosi di conseguenza che non sia possibile migliorarsi. Nella quasi totalità dei casi queste prove di cambiamento sono state però condotte in modo sbagliato, senza seguire un sistema di miglioramento. Spesso le persone provano a cambiare un comportamento (ad esempio: arrabbiarsi dopo un errore) dicendo a se stesse di non farlo (“Non ti devi arrabbiare”). Di solito l’effetto di questa azione è di continuare a sentirsi arrabbiati. Tutti hanno sentito dire dal maestro di tennis che per calmarsi e recuperare si deve  fare un bel respiro profondo; si segue questo consiglio ma spesso non funziona e, quindi, ci si convince che respirare profondamente non serve a nulla.

Dove hanno sbagliato questi tennisti, che pure hanno provato a reagire alle difficoltà?

Il primo caso evidenzia che non si cambia semplicemente dicendosi di “non fare una cosa”, altrimenti i nostri cambiamenti si attuerebbero a colpi di frasi: sei arrabbiato, basta dire “non essere arrabbiato”, sei agitato dì che non vuoi essere agitato, sei distratto dì che non vuoi esserlo e così via. Dirsi delle frasi non serve a nulla se non si incide nello stesso tempo anche sulle emozioni.

Il secondo caso è molto tipico nello sport, perché anche molti atleti non sanno eseguire correttamente un respiro profondo, e quando provano a farlo inspirano poca aria, magari la prendono a scatti e la mandano fuori troppo velocemente, in questo modo il loro respiro somiglia di più a un sospiro o a uno sbuffo. Per questa ragione non risulta efficace. Al contrario, tutti possono imparare a fare un respiro profondo, però prima bisogna esercitarsi a farlo in modo corretto, la sua efficacia va sperimentata in allenamento e solo in seguito andrà eseguito in partita; a quel punto non c’è nessun dubbio che sarà utile a ridurre la tensione emotiva. Per l’allenamento di queste competenze bisogna consultare uno psicologo dello sport.

Come gestire lo stress agonistico

Le vicende dello sport di alto livello mettono in evidenza la necessità di gestire lo stress. Lo stress di Massimiliano Allegri, la stanchezza mentale dell’Atalanta, lo stress dei tanti che devono ancora qualificarsi per le Olimpiadi, delle squadre che nelle diverse discipline stanno giocando i playoff per citare alcune situazioni.

Lo stress per stagioni difficili, lunghe e in ambienti molto competitivi generano ogni sorta di difficoltà psicologiche che gli atleti devono imparare a superare per continuare con successo il loro percorso. Potrebbe sembrare banale sottolineare l’importanza del recupero psicologico, ovviamente non lo è ma questa pratica non è così diffusa fra gli atleti/e come invece dovrebbe essere.

Direi che rilassamento e visualizzazione dovrebbero essere due tecniche che fanno parte della vita quotidiana di un atleta. Va ricordato che rilassarsi determina:

  • migliore recupero fisico
  • migliore sonno
  • pensieri più liberi e meno stressanti
  • maggiore capacità di mettere distanza con gli eventi quotidiani
  • capacità di recuperare in pochi minuti dalle situazioni di stress
L’immaginazione invece determina:
  • abilità a immedesimarsi nelle situazioni competitive
  • migliore capacità di focalizzazione sul presente
  • capacità di stoppare i pensieri che ostacolano la prestazione
  • migliore contatto e consapevolezza con i propri stati d’animo
  • capacità di passare da pensieri/emozioni che ostacolano e pensieri che favoriscono la prestazione
In sostanza chiunque viva situazioni competitive importanti e per se stesso significative dovrebbe allenarsi psicologicamente in questo modo, per evitare il rischio di subire lo stress senza avere acquisito competenze per ridurlo. Purtroppo ancora molti atleti/e non capiscono il valore di questo tipo di allenamento, questo avviene spesso per superficialità, chiusura mentale, paura di restare in contatto con loro stessi, per superficialità e presunzione di sapere già da soli come fare.

L’ira di Max Allegri

Momenti negativi di ira possono capitare nella vita di un allenatore ma devono essere gestiti così da non travolgere il proprio autocontrollo. Questo mi sembra che sia ciò che non ha fatto Massimiliano Allegri durante gli ultimi minuti della finale di Coppa Italia e durante la premiazione.

La perdita dell’autocontrollo è un fatto grave per ogni persona. Comporta avere quasi annullato ogni forma di controllo che di solito si ha nelle relazioni interpersonali e si agisce solo sulla pressione emotiva, che blocca nella mente ogni pensiero logico e razionale. Essere entusiasti o essere rabbiosi sono i due estremi di uno stesso continuum, uno positivo e l’altro negativo, rappresentano due modi diversi d’investire l’energia fisica e mentale a disposizione.

In ambedue i casi le emozioni hanno preso il sopravvento sul pensiero, che in questi momenti amplifica con le parole quanto gli stati d’animo rappresentano in quei momenti. Si può agire in questo modo durante la partita per portare l’attenzione su se stessi, per togliere in questo modo pressione alla propria squadra e per intimorire l’arbitro.

Allegri è un allenatore vincente e, quindi, stupisce ancora di più che si lasci andare a queste esplosioni di rabbia. Quali che siano state le mancanze che ha rilevato nella dirigenza del club, in ogni caso ha raggiunto gli obiettivi che gli erano stati dati. Questa sarebbe stata la risposta da contrapporre alle critiche e non la violenza verbale e i gesti non controllati.

Comnnque la storia non può tornare indietro e vedremo nei prossimi giorni quale tipo di azioni da Allegri e da chi è stato l’oggetto delle sue reazioni.