- Sentirsi impegnati ad acquisire e ampliare nuove tattiche e strategie
- Maturare come allenatore richiede tempo. E’ necessario essere pazienti e onesti con se stessi.
- Sapere che solo perché qualcosa ha funzionato negli ultimi tre anni non fornisce garanzie che continui a farlo nel prossimo futuro. E’ necessario sapere valutare e adattare il proprio approccio e le strategie.
- E’ importante saper lavorare duro e bisogna saperlo accettare.
- Bisogna essere consapevoli che per diventare esperti ci vorranno molte più ore di quelle che si era previsto.
- Bisogna trovare uno stile di allenamento che rispetti la propria personalità e consenta di esprimersi al proprio massimo.
- Bisogna sapersi conquistare il rispetto degli atleti, essendo di esempio nel rispettarli.
- Bisogna saper creare un ambiente che sia percepito dagli atleti come educativo, divertente e sfidante.
- Bisogna comunicare agli atleti in maniera chiara le proprie aspettative, i pensieri e le convinzioni.
- Bisogna sapere che la decisione finale spetta all’allenatore
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Il cambiamento dell’atteggiamento in campo della Roma e delle conseguenze che ne derivano: migliore gioco, combattività dei singoli, forte coesione e maggiore senso di appartenenza rappresenta un dato positivo non solo per la Roma, prima in classifica, ma per il calcio italiano. Il primo passo verso questo cambiamento è rappresentato dalla diversa organizzazione della società, più chiara, senza sovrapposizione nei ruoli dirigenziali chiave, che ha determinato la scelta dei giocatori da cedere e quelli da immettere, facendo attenzione alle necessità di bilancio e a prendere non solo giocatori bravi ma anche dotati della personalità necessaria per giocare ad alto livello. Il secondo tassello è costituito dalla scelta di un allenatore non glamour o filosofo ma concreto. Dal punto di vista psicologico si è presentato come il classico padre severo ma giusto; in tal modo i giocatori si sono sentiti rispettati e così da questo nuovo ambiente e dall’intreccio di queste relazioni è nato il gioco attuale. Il risultato della Roma dimostra che per vincere è innazitutto necessario avere un’organizzazione societaria efficace e un allenatore (il leader della squadra) che valorizzi i calciatori, non li escluda per un pregiudizio personale e che faccia rispettare regole semplici e ben definite. Solo a questo punto inizia l’allenamento del gioco.
Il lavoro arbitrale è sottoposto ad alcune regole non scritte del mondo del calcio che tendono a mantenere sempre a un livello critico la percezione che i tifosi e il più ampio pubblico manifestano nei confronti di questa attività: Queste regole sono le seguenti:
- Sino dall’antichità, lo sport è stato un fenomeno sociale in cui vi è sempre stata una simbiosi fra prestazione atletica e spettatori, e va ricordato che i primi eventi di cui si ha conoscenza risalgono al 5.220a.c. Significa che gli spettatori hanno da sempre parteggiato per gli atleti che gareggiavano dividendosi per fazioni.
- Il calcio è una versione ritualizzata della caccia, dove i giocatori sono i cacciatori, l’arma è la palla, la preda è la porta e l’arbitro è il giudice tribale su cui nessuno può interferire quando prende una decisione.
- La decisione di un arbitro a favore di una squadra è contro gli interessi dell’altra. Ogni volta che l’arbitro comunica una decisione, metà dei giocatori, l’allenatore e gli spettatori provano una qualche forma di disappunto. Questa è a ogni livello la natura del calcio agonistico.
- Le reazioni dei calciatori all’assegnazione di una decisione per loro negativa sono significativamente influenzate dallo stile di comunicazione che l’arbitro mostra in quella situazione
- La percezione di correttezza dell’agire arbitrale da parte del pubblico e dei calciatori è estremamente importante, però nel calcio questo tipo di percezione è altrettanto fortemente influenzata dalle aspettative nei confronti dell’arbitro, ad esempio sapere che è un arbitro che non dà mai un rigore contro la squadra di casa negli ultimi cinque minuti della partita.
- La percezione di correttezza dell’arbitro dipende da come i calciatori ne valutano il livello di competenza, l’indipendenza di giudizio e il rispetto verso le squadre.
Impresa e atletica si somigliano: non basta andare più forte degli altri bisogna anche avere un’etica. Gli ultimi casi di doping insegnano, leggilo su http://huff.to/12VdYSC
Per un atleta che nella sua carriera ha raggiunto i vertici assoluti, trovarsi nella condizione di dovere ricominciare a lavorare sulla sua tecnica sportiva e su una diversa gestione della gara, perchè sono state cambiate le regole del suo sport non è affatto un compito facile. Soprattutto quando ciò avviene nell’anno post-olimpico periodo in cui la maggior parte degli atleti tendono a concedersi del tempo per recuperare dallo stress delle olimpiadi e preferiscono non essere sin da subito impegnati in allenamenti intensi e simpegnativi. L’unione di questi aspetti, cambiamento delle regole e necessità di mantenere l’impegno al massimo livello, può determinare una condizione di stress mentale in cui l’atleta non vorrebbe trovarsi in questa fase della sua carriera. Inoltre, gli atleti giovani della stessa disciplina vedono nell’anno post-olimpico un’opportunità per puntare a fare esperienze a livello internazionale e pertanto sono portati a impegnarsi al massimo per essere notati dal ct della nazionale. Sono quindi molteplici le ragioni che impediscono di vivere questo anno in modo poco impegnativo mentre invece spingono nella direzione di un rapido adattamento alle nuove regole tecniche e della competizione.
Circa 50 anni fa due illustri studiosi Jurgen Ruesch e Gregory Bateson parlando del significato del successo nella cultura nordamericana hanno scritto:
“Il fine giustifica i mezzi, e il successo assolve le azioni malvagie e disoneste. Se si profila una possibilità, essa viene automaticamente avvertita come una sfida, anche se rispondere a questa sfida potrebbe portare a trasgredire la legge; ma se un individuo viene colto sul fatto mentre si serve di scorciatoie illecite è considerato un fallito. L’importante quindi non è ciò che fa ma il fatto che gli altri gli permettono di farla franca” (La matrice sociale della psichiatria, 1976, p.136).
E più avanti:
“Il popolo americano possiede una ricca mitologia di persone che hanno ragiunto il successo: i miti di Ford, Rockefeller e Carnegie idealizzano la libera iniziativa e la possibilità della pesona povera di diventare ricca e potente. Questa ammirazione per il successo va però di pari passo con la condanna delle attività disoneste dei furfanteschi magnati dell’industria. Il pubblico è tuttavia pronto a chiudere un occhio sui discutibili modi di agire di una persona di successo se il suo comportamento è in seguito temperato da opere buone, offerte per beneficenza, stanziamenti per fondazioni e altre istituzioni pubbliche”. (p.137)
Quindi si truffa o nel caso di Amstrong ci si dopa perchè c’è l’opportunità. L’importante è non essere presi e lui c’è riuscito per tutta la sua carriera. Ora per non essere considerato un fallito (e magari fallire anche finanziariamente) ha deciso di ammettere quanto aveva negato sino a quel momento. Non c’è nessun ravvedimento in questa confessione fatta nell’intervista televisiva, solo la constatazione pubblica di quello che ha commesso e di quanto la condanna gli è costata (75milioni in un giorno). Neanche i suoi sponsor sono stati interessati a sapere se era un ciclista pulito, perchè per loro ciò che contava era il ritorno dell’investimento (vedi articolo di Claudio Gatti: http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-01-15/caso-armstrong-doping-213438.shtml ). Anche per loro l’importante è che il loro atleta vinca, se poi verrà scoperto potranno anche fare bella figura mostrandosi indignati. Forse l’unico momento in cui Amstrong è in difficoltà è quando sta con i suoi figli a cui ha dovuto dare spiegazioni che coinvolgono gli affetti personali e verso i quali ha la responsabilità del padre che deve per primo seguire le regole se vuole che anche loro imparino a rispettarle.
Ripreso il lavoro si comincia nuovamente a pensare a riprendere l’attività fisica che la maggior parte delle persone abbandona durante il periodo estivo. Per chi ha non ha fatto moto, il segreto sta nella gradualità. E’ come se il corpo si destasse dal sonno, per questo motivo non bisogna avere fretta e tanto meno stressarlo con sforzi in questo momento estenuanti. E’ molto meglio iniziare con allenamenti brevi e non intensi. Ciò che conta è la continuità nel tempo dell’attività fisica sia essa corsa, nuoto, bici o altro. Non è importante correre oggi 1 ora ma raggiungere questo obiettivo magari fra due mesi. La gradualità è il principio base da rispettare. Vale per gli adulti che passano dalla condizione di sedentarietà a quella di attività fisica, che devono essere consapevoli che non è importante “fare tanto” la prima settimana per dimostrare a sé e agli altri che in fin dei conti non si era poi così fuori forma ma conta invece continuare a essere ancora attivi dopo sei mesi. Lo stesso concetto vale però anche per gli individui allenati. Ormai lo sport in Italia lo praticano solo più gli adulti da 40 a 60 anni. Non siamo adolescenti, i tempi di recupero sono molto più lenti e il corpo sta invecchiando. Pertanto l’inizio graduale consente all’apparato fisico di riappropriarsi giorno per giorno dei movimenti conosciuti e di raggiungere quell’attivazione specifica per l’attività che si svolge. Questa semplice cosa è la più difficile da fare. Direi anzi che non la fa nessuno, me compreso. Ciò è possibile perché bisognerebbe ragionare ma invece non lo facciamo e ci lasciamo dominare dalla passione. Corriamo o nuotiamo o giochiamo a tennis perché ci piace, spinti dall’amore per il movimento, senza essere obbligati dagli allenatori a seguire un programma ben preciso come invece devono fare gli atleti, e pensando che “tanto ho sempre fatto in questo modo”. per molti problema non è la prestazione, sappiamo che potremmo allenarci meglio, ma siamo contenti di quello che facciamo. Il problema è l’età che a un certo punto ti chiede il conto e allora se vuoi continuare devi fare come hai sempre saputo che avresti dovuto. Se intraprendi questa strada a qualcuno sembrerai più saggio, ma tu sai che è solo per necessità e non certo per scelta.
La Gazzetta dello Sport pubblica oggi “La bibbia dello sportivo” in cui sono descritte le otto regole per vivere bene, si parla di come evitare problemi fisici e trarne beneficio, della scarpa giusta se fate jogging e si consiglia di bere il latte dopo l’allenamento. Meno male che hanno lasciato due spazi vuoti anzichè arrivare alle classiche 10 regole. Questo mi permette d’inserire due regole che mancano e che sono alla base di qualsiasi attività sportiva. Quindi per me la numero 9 è: divertirsi e va bene per tutti dai piccini ai praticanti la ginnastica dolce. La numero 10 è: fare sport con gli amici, tanto è vero che per molti questa è la principale ragione che li ha avvicinati allo sport. Leggi: http://www.gazzetta.it/Fitness/09-03-2012/bibbia-sportivo-otto-regole-vivere-bene-81568569290.shtml
L’etica nelle azioni si sviluppa attraverso la coscienziosità e il coraggio. La persona coscienziosa ha senso di giustizia e di onestà e coniuga insieme l’impegno nel lavoro con il rispetto dei propri doveri etici, professionali e sociali. Il coraggio aiuta ad agire in questo modo anche nelle situazioni difficili, altrimenti si rischierebbe di comportarsi in modo etico solo nelle situazioni più semplici.