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La mentalità rigida della squadra causa sconfitte

Il problema più grave per una squadra e per un atleta è quello di pensare di essere bravo.

Questa convinzione mette immediatamente le persone in una condizione di maggior soddisfazione e alimenta l’aspettativa che  tutto andrà bene così come loro si aspettano, quindi vinceremo.

Sentirsi in forma e avere la consapevolezza delle proprie capacità personali e di squadra è certamente importante. Spesso le squadre pensano che questa condizione sia sufficiente per ottenere il successo. Non capiscono che è necessaria ma non sufficiente.

Per giocare ad alto livello, bisogna avere le capacità di una squadra di alto livello. Poi bisogna dimostrarlo sul campo.

Arrigo Sacchi dice che la motivazione deve essere eccezionale, perchè su questa base il calciatore è continuamente impegnato a migliorarsi. Questo è ciò che Carol Dweck ha chiamato una mentalità orientata alla crescita. Chi non la dimostra è destinato ad avere come dicono gli allenatori dei blocchi mentali. In altri termini, questi giocatori hanno una mentalità rigida che li porta a pensare che il loro talento e la forma fisica di quel momento siano sufficienti per essere efficaci nel proprio lavoro.

Errore grave grave, equivale per uno studente a scrivere squola o quore con la q. Entreranno in campo privi della motivazione di giocare al meglio delle loro capacità. Entreranno, invece, con la convinzione che giocheranno bene così in modo spontaneo, e di fronte alle difficoltà del match non saranno pronti ad adattarsi, poiché non lo avevano previsto.

E’ facile perdere la testa, basta ragionare in questo modo.

Ma gli allenatori hanno un programma?

A leggere le dichiarazioni di questo periodo di alcuni allenatori mi viene il dubbio che non abbiamo formulato un programma di sviluppo della squadra, quando era il momento di farlo, cioè all’inizio dell’anno sportivo o, per coloro che sono stai chiamati nel corso del campionato, quando sono stati incaricati. La programmazione non è solo sapere quale gioco si vuole avere e stabilire sulla carta i compiti di ognuno. La programmazione è anche avere un piano in caso succedano eventi imprevisti ed è soprattutto condivisione e responsabilizzazione dei singoli giocatori. Solo chi ha previsto gli scenari negativi è in grado di affrontarli con fermezza e rapidità senza essere stupefatto che possa essere accaduto. Non è un caso che i vincitori di medaglie alle olimpiadi e i loro allenatori considerano che sia decisivo avere  pianificato in precedenza modi di agire per affrontare proprio gli eventi imprevisti. Cosa vuole dire Luis Enrique quando afferma che deve lavorare sulla personalità dei suoi atleti? Perchè non l’ha fatto dal primo giorno? Sono convinto che molti allenatori abbiano un approccio superficiale o presuntuoso alla comprensione della mente dei propri calciatori, perchè se si rimane stupiti, vuole dire che in precedenza si aveva preso illusioni per realtà. Forse un giorno gli allenatori capiranno (anche se ne dubito) che gli servirerebbe un consulente, che in maniera scientifica e professionale li aiuti a formulare programmi di sviluppo delle loro squadre basati non solo sulla tattica ma anche su cosa succede alle persone quando le cose non vanno come dovrebbero e su come allenare la resistenza a questi stress. Per ora è fantascienza e non a caso Sacchi era spesso criticato anche perchè si occupava di questi aspetti.

Personalità e calcio

Sui media è apparsa la notizia che una squadra tedesca, l’Hannover, ha sottoposto i suoi giocatori a un questionario di personalità per conoscere le principali caratteristiche psicologiche di ognuno. Ovviamente sui giornali italiani la notizia è apparsa perchè vi sono anche alcune domande che indagano sulla vita sessuale (http://www.repubblica.it/sport/calcio/calciomercato/2012/01/11/news/hannover). Sono convinto della grande positività d’iniziative come queste, poichè permettono di approfondire la conoscenza dei propri calciatori attraverso attraverso l’uso di trumenti scientifici. E’ questa una pratica inesistente in Italia. Posso dire che l’unico a essersi interessato a queste dimensioni è stato Arrigo Sacchi, il quale in preparazione dei mondiali di America 1994 mi chiese di somministrare ai giocatori un questionario e applicai il TAIS. Questionario per lo studio dello stile attentivo e intepersonale delle persone. Oltre il suo interesse al profilo psicologico di ognuno degli atleti, mi chiese ad esempio di dirgli quali erano, in base ai risultati, quei calciatori a cui poteva fornire più informazioni contemporaneamente senza che per questo si confondessero e quelli invece per cui era più efficace fornire ogni volta un numero minore d’indicazioni. Ecco un piccolo esempio di come le informazioni che derivano da un questionario possono essere utilizzate. Da quel giorno, solo gli arbitri di calcio dell’era Casarin alla fine degli anni ’90 hanno usufruito di questo tipo di consulenza psicologica. I tempi passano e i club si affidano ai maghi allenatori, che ovviamente essendo dei piccoli Cesari non hanno bisogno di queste notizie.

Allenatori, perfezionismo e credibilità

E’ il momento di Conte, allenatore della Juventus, oggi Sacchi ne parla sulla Stampa dicendo che è un cultore del perfezionismo. Allora usiamo anche noi psicologi questo termine in modo positivo, che troppo spesso, invece, l’associamo a qualcosa di negativo. Il perfezionismo significa lavorare in modo scrupoloso e perseverante nel tempo. E’ un fondamento della fiducia che si applica al gioco, ai compagni e a se stessi. Tutti dovremmo chiederci quanto siamo superficiali e discontinui nell’impegno piuttosto che perfezionisti.
Secondo: questa può essere la stagione di Ranieri perchè spesso quando si superano con successo delle prove iniziali così significative dal punto di vista mentale, le squadre si compattano e l’allenatore conquista un bonus di credibilità da spendere nei momenti difficili.