Se l’unica cosa costante della vita è il cambiamento, non dobbiamo affezionarci troppo alle nostre abitudini, che prima dovremmo abbandonare.
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Se l’unica cosa costante della vita è il cambiamento, non dobbiamo affezionarci troppo alle nostre abitudini, che prima dovremmo abbandonare.
“Per poter affrontare i più giovani ho dovuto reinventare il mio gioco, il tennis è in costante evoluzione”
Federer dimostra che si può cambiare anche a 38 anni.
A qualsiasi età possiamo scegliere di cambiare
Si può sempre ricominciare
a patto di essere disposti a sbagliare.
“La felicità non arriva automaticamente, non è una grazia che una sorte benevola può riversare su di noi e un rovescio di fortuna può toglierci. Dipende solo da noi. Non si diventa felici in una notte, ma dopo un paziente lavoro, portato avanti di giorno in giorno. Il benessere si costruisce con la fatica e il tempo. Per diventare felici, è se stessi che bisogna cambiare”.
Luca e Francesco Cavalli-Sforza
Il tennis m’insegna ogni giorno quanto sia facile trattarsi male per i giocatori che sono all’inizio di un percorso professionale. Sono questi giovani, ragazzi e ragazze, di 18-21 anni che pur avendo qualità di gioco e forma fisica non riescono ad accettare gli errori, sono insicuri in campo e negativi con se stessi. In altre parole non sono tennisti abituati ad affrontare gli errori e le difficoltà come ostacoli normali e quotidiani e soprattutto non si divertono perché per loro è un’esperienza pesante e problematica. Nella mia esperienza sono molti di più i giovani che di fronte a queste difficoltà le subiscono e cedono piuttosto che tentare di padroneggiarle. L’unico modo per cambiare questa situazione è quello di iniziare a insegnare a gestire le proprie emozioni e i pensieri in campo. A questo riguardo un aspetto importante da insegnare consiste nella gestione della pause di gioco. I tennisti devono acquisire un sistema che gli permetta di recuperare dalla stanchezza fisica e mentale, subito dopo, di mettersi nella condizione migliore per iniziare un nuovo scambio. Questo approccio al gioco andrebbe allenato quotidianamente. Bisogna sapere che la componente tecnica e atletica del tennis vanno allenate insieme a quella mentale e che non vi è uno scambio di gioco in cui tutte e tre non siano presenti.
Chi vuole saperne di più mi può contattare per mail e riceverà in breve tempo una risposta.
Spesso un ostacolo al cambiamento è rappresentato dalla convinzione di non avere a disposizione il tempo necessario per cambiare. Questo lo dicono gli atleti ma lo pensano anche i loro allenatori che non spendono tempo per la preparazione psicologica perché ritengono di avere già da fare troppe cose. Una volta per rispondere a queste obiezioni facevo lunghe spiegazioni sull’importanza della psicologia e dell’uso corretto della mente . Poi ho scoperto che in questo modo non facevo altro che rinforzare le resistenze dei miei interlocutori, che continuavano a credere di non avere tempo. A questo punto ho cambiato approccio. Ho cominciato a rispondere chiedendo loro se avevano 15 minuti al giorno da dedicare a qualcosa di diverso che non fosse l’allenamento fisico e tecnico. Ovviamente hanno tutti risposto affermativamente e partendo da questa risposta positiva è stato più facile per me spiegargli come organizzare un allenamento mentale in quel breve periodo di tempo.
Non vince chi ha più talento. Non vince chi ha il fisico migliore. Non vince chi è più intelligente. Sono tutti aspetti utili ma non decisivi per vincere.
Vince chi si adatta meglio e più in fretta alle situazioni agonistiche che avvengono momento per momento durante una gara.
Continua a vincere chi innova il suo modo di allenarsi e gareggiare in modo concreto, realizzabile e sfidante
Balotelli può diventare un talento sprecato, con il vantaggio di vivere in un mondo dorato che gli allevia gli insuccessi con il denaro che in ogni caso guadagna. Forse farà la fine di Cassano, felice sconfitto in una squadra minore, dopo avere potuto essere il talento del calcio italiano. Eterni ragazzi che non accettano le regole perchè considerano il loro talento superiore alla necessità di rispettarle. Il loro problema è che non sanno di avere un problema, per cui continuano a ripetere sempre gli stessi comportamenti negativi. Il problema è rappresentato invece dagli altri che non li capiscono e che limitano il loro genio calcistico. La collaborazione e lo spirito di squadra sono dimensioni sociali di cui non conoscono il significato, esistono solo loro; sono parte della generazione-Io. Pongono se stessi al centro del mondo e sono il parametro a cui si devono adeguare le regole. Narcisisti: sì e veramente grandiosamente negativi. Possono cambiare, certamente se capiranno che il mondo può fare a meno di loro.
Una delle ragioni per cui spesso continuiamo a perseverare in abitudini e comportamenti che consideriamo sbagliati dipende dalla nostra paura emotiva. E’ certamente più semplice e meno impegnativo lasciarsi dominare dalla voglia di lamentarsi che si manifesta nelle classica frase: “lo sapevo che sarebbe andata a finire in questo modo”. Contiuiamo a difenderci dicendo che non sappiamo che fare, che la colpa è di qualcun altro o della sfortuna che si accanisce contro di noi o del fatto che è proprio vero che non c’è un’altra soluzione. Sono pensieri comuni e in cui è facile cadere e che servono a mascherare le nostre paure più profonde. Agli atleti quando commettono in modo ripetitivo lo stesso errore dico spesso di fare qualcosa di diverso, senza essere preoccupati del risultato, nel peggiore dei casi commetteranno un altro errore ma almeno sarà diverso. Per giustificare questa mancanza d’iniziativa ci si nasconde nel dire “e se poi non va bene?”. Più raramente si pensa che se non va bene si proverà a fare ancora qualcos’altro fino a quando non avremo trovato la soluzione. Questo accade perchè siamo emotivamente spaventati dal cambiamento e più ne sentiamo la necessità maggiore è la tendenza a nascondersi dietro dei ragionamenti. E’ importante imparare a dialogare con noi stessi, chiedendoci che cosa ci trattiene dal cambiare un comportamento o un’idea e che cosa temiamo che succeda. Non dobbiamo mai interrompere questo dialogo, siamo noi il principale allenatore di noi stessi. Questa ricerca della condizione emotiva ottimale deve avvenire non solo in gara ma anche in allenamento, perchè l’apprendimento è un forma di stress che suscita ogni forma di emozioni dal piacere al dispiacere, dall’orgoglio alla vergogna e dobbiamo essere in grado di gestirle per migliorare sempre di più nella conoscenza di noi stessi.