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Qualcuno non ha ancora capito a cosa serve il vaccino

Roberto Burioni
@RobertoBurioni 7 nov
Chi – arrivati a questo punto – non ha capito il beneficio che ha portato questo “siero” non ha bisogno di un virologo ma di un bravo neurologo.

Attività motoria e rischio d’infezioni

Ezzatvar Y, Ramírez-Vélez R, Izquierdo M, et al Physical activity and risk of infection, severity and mortality of COVID-19: a systematic review and non-linear dose–response meta-analysis of data from 1 853 610 adults. British Journal of Sports Medicine Published Online First: 22 August 2022. 

La nostra analisi rivela che gli individui che svolgono un’attività fisica regolare hanno minori probabilità di contrarre l’infezione da SARS-CoV-2, di un periodo di ricovero ospedaliero per COVID-19, di ammalarsi gravemente di COVID-19 e di morte correlata a COVID-19 rispetto agli individui fisicamente inattivi.

Abbiamo trovato le seguenti evidenze:

L’associazione tra attività fisica regolare e rischio di infezione da COVID-19 è inferiore dell’11%.

Impegnarsi regolarmente in un’attività fisica moderata-vigorosa è associato a un rischio ridotto del 31% di malattie infettive e del 37% di mortalità correlata a malattie infettive.

È stato riportato che la partecipazione all’attività fisica riduce l’incidenza di polmonite e il rischio di infezioni respiratorie acute (ad esempio, infezione del tratto respiratorio superiore).

Gli adulti che praticano un’attività fisica regolare hanno un rischio inferiore di ricovero ospedaliero e di malattia COVID-19 grave rispetto a coloro che sono fisicamente inattivi.

Le persone fisicamente attive presentano sintomi meno gravi, tempi di recupero più brevi e possono avere minori probabilità di infettare le persone con cui entrano in contatto.

Un livello elevato di attività fisica è risultato un fattore protettivo per la mortalità da COVID-19.

Sono stati suggeriti diversi meccanismi per i presunti effetti protettivi dell’attività fisica sul sistema immunitario:

Negli esseri umani sani, l’attività fisica è stata collegata a una riduzione dell’infiammazione sistemica, a una maggiore attività citolitica delle cellule natural killer, a un aumento della capacità proliferativa delle cellule T, a una riduzione dei livelli circolatori di citochine infiammatorie (cioè a una diminuzione dell’”inflamm-ageing”) e a un aumento dell’attività fagocitaria dei neutrofili, tutti fattori che possono migliorare il controllo virale. Pertanto, l’esercizio fisico regolare a moderata intensità può essere efficace nel potenziare le risposte antinfiammatorie,

Il livello di fitness cardiorespiratorio e muscolare degli individui, in quanto entrambi probabilmente giocano un ruolo fondamentale nello spiegare l’effetto protettivo dell’attività fisica sull’ospedalizzazione, la gravità e la mortalità della COVID-19.

Inoltre, gli individui di status socioeconomico inferiore e i Paesi a basso o medio reddito possono incontrare ulteriori difficoltà nell’impegnarsi in un’attività fisica regolare nel tempo libero rispetto a coloro che provengono da contesti socioeconomici più elevati (ad esempio, risorse limitate, vivere in quartieri con un minore accesso ai parchi o con una minore percorribilità a piedi, pagare i costi di partecipazione a sport registrati o l’iscrizione a club sportivi), il che può comportare un onere pandemico ancora maggiore per questi gruppi emarginati. La sfida è garantire un accesso equo all’attività fisica per assicurare migliori risultati di salute per tutti.

Nell’interpretare i nostri risultati occorre considerare diverse limitazioni:

La maggior parte dei partecipanti inclusi nei 16 studi è stata esposta principalmente alle varianti infettive Beta e Delta, prima che la variante Omicron diventasse prevalente a livello globale.

La maggior parte degli studi ha utilizzato questionari auto-riportati per determinare i livelli di attività fisica, il che può risposte troppo soggettive e ha utilizzato definizioni diverse per determinare i livelli di attività fisica.

La maggior parte degli studi ha ottenuto i dati sullo stato di attività fisica in un unico momento e ha raccolto solo le attività del tempo libero e non le attività fisiche legate alla casa e all’occupazione, il che può influire sull’entità delle vere associazioni.

Gli effetti negativi della pandemia sull’attività motoria dei giovani

Global Changes in Child and Adolescent Physical Activity During the COVID-19 Pandemic. A Systematic Review and Meta-analysis

Ross D. Neville, Kimberley D. Lakes,Will G. Hopkins, Giampiero Tarantino, Catherine E. Draper, Rosemary Beck, Sheri Madigan.
JAMA Pediatr. Published online July 11, 2022.

Questa meta-analisi fornisce stime aggiornate dei cambiamenti nell’attività fisica dei bambini e degli adolescenti durante la pandemia COVID-19. Mettendo insieme le analisi di 22 studi condotti in diversi contesti globali e che hanno incluso 14.216 partecipanti, abbiamo dimostrato che la durata dell’impegno nell’attività fisica totale giornaliera è diminuita del 20%, indipendentemente dai livelli di base pre-pandemici. Abbiamo dimostrato che questa riduzione era maggiore per l’attività fisica a intensità più elevata. In particolare, la riduzione media dell’attività fisica moderata-vigorosa al giorno durante la COVID-19 (17 minuti) rappresenta una riduzione di quasi un terzo della dose giornaliera di attività fisica moderata-vigorosa raccomandata per i bambini piccoli (~3-5 anni) e per i bambini e gli adolescenti in età scolare (~5-18 anni) per promuovere una buona salute fisica e il funzionamento psicosociale.

È possibile che il tributo cumulativo della pandemia si sia aggravato nel tempo per influenzare negativamente i bambini e gli adolescenti, compresi i loro livelli di attività fisica. Ciò è in linea con una recente meta-analisi sulla salute mentale dei giovani, che ha rilevato che la prevalenza di sintomi depressivi e di ansia è aumentata nel tempo durante la pandemia. L’aspetto temporale dei nostri risultati è anche ampiamente in linea con la ricerca sulla psicologia dell’abitudine, che suggerisce che le abitudini dipendono dagli stimoli di stabilità che sono stati significativamente interrotti durante la pandemia. La maggior parte dei meccanismi multicomponenti di supporto familiare, sociale e comunitario all’attività fisica di bambini e adolescenti non erano disponibili durante il COVID-19. Questo ha indubbiamente creato una “tempesta perfetta” per la discontinuità delle abitudini nel contesto dell’attività fisica dei bambini e degli adolescenti.

La ricerca ha anche dimostrato che i bambini con un accesso costante e il permesso di utilizzare gli spazi all’aperto durante il COVID-19 hanno avuto risultati migliori in termini di attività fisica. Questi bambini hanno mostrato riduzioni minori nell’attività fisica moderata-vigorosa e hanno avuto circa 2 volte più probabilità di soddisfare quanto previsto dalle linee guida per l’attività fisica durante il COVID-19. Nel complesso, i cambiamenti nelle restrizioni e l’imprevedibilità dell’accesso ai luoghi tipici dell’attività motoria per i bambini e gli adolescenti hanno probabilmente contribuito a modificare i loro livelli di attività motoria e ad aumentare il coinvolgimento in altre attività (ad esempio, il tempo trascorso davanti allo schermo) che rischiano di promuovere una “nuova normalità” sempre più sedentaria.

Questo risultato è coerente con i dati precedenti alla pandemia che dimostrano che i giorni estivi non strutturati durante le vacanze scolastiche possono avere associazioni negative con i comportamenti di salute. Una recente stima di tale riduzione estiva dell’attività motoria moderata-vigorosa, pari a 11,4 minuti, è tuttavia sostanzialmente inferiore (~ 50%) rispetto alla stima aggregata della nostra meta-analisi. Ciò suggerisce un’intensificazione sostanziale, durante la pandemia, del consueto scivolamento estivo verso l’inattività motoria, che merita un’attenzione particolare da parte dei responsabili politici che cercano di aiutare i bambini a “stare meno seduti e giocare di più”, poiché saranno necessarie iniziative mirate quando i bambini entreranno nei mesi estivi.

C’è un’urgente necessità di iniziative di salute pubblica per ravvivare l’interesse dei giovani per l’attività motoria e sostenere la loro domanda di attività motoria durante e dopo la pandemia di COVID-19. In termini di implicazioni pratiche, la ricerca sulla promozione e il mantenimento dell’attività motoria durante l’infanzia mostra costantemente che gli interventi multicomponente, multimodali e con più risultati funzionano meglio. Pertanto, le campagne di salute pubblica possono avere un effetto maggiore se sono incentrate sul bambino, mirano a una varietà di modalità di attività motoria e incorporano l’unità familiare e la comunità in generale come co-costruttori di cambiamenti duraturi nel comportamento di attività motoria.

Meno sport, più disagio giovanile

In questo periodo si parla molto del ruolo positivo dello sport per i giovani e delle gravi problematiche che questa pandemia ha esercitato sul suo svolgimento, sostanzialmente impedendo la pratica sportiva nelle palestrenelle piscine, a scuola e in tutti gli sport di contatto.

Difatti è stata quasi del tutto impedita l’attività giovanile, che non sia d’interesse nazionale, ed è stata bloccata l’attività di migliaia di società sportive. Questo è un fatto grave di cui nessuno si è preoccupato e per il quale non ci si è interessati a trovare soluzioni. Di questo ho già scritto più volte e non ho letto dichiarazioni che sottolineano un senso di comunità con chi lavora all’interno delle scuole e nello sport ma solo affermazioni categoriche, in cui si dice che le palestre non saranno più disponibili per far praticare sport. Dal punto di vista sociale la mancanza di sport così come la didattica a distanza ha incrementato il disagio dei giovani e aumentato la frequenza di stati di ansia, di depressione e di conflitti all’interno delle famiglie.

Questa situazione drammatica e i suoi esiti negativi sulla salute dei giovani s’inserisce in un contesto italiano fortemente carente per quanto riguarda le opportunità di fare sport per i giovani. Infatti, nel nostro paese solo il 50% dei giovani di 15-17 anni pratica sport in modo continuativo e solo il 41% delle scuole è fornita di una palestra (con il picco max in Friuli Venezia Giulia dove le palestre sono nel  57% delle scuole: quindi un dato sempre basso).

Quindi, la pandemia ha allargato a dismisura un problema già grave. Sarebbero state necessarie soluzioni pragmatiche invece si è sono cercate soluzioni servendosi degli stessi spazi (le classi) che ovviamente erano in contraddizione con il distanziamento fisico. Lo stesso vale per lo sport, si sarebbe potuto pensare a forme di collaborazione tra società sportive e la scuola per portare gli alunni i spazi esterni a fare attività fisica. Un paese meno burocratico e attento ai giovani avrebbe trovato delle soluzioni.

 

Nuovo ebook: La pandemia nello sport


Il 2020 se ne sta andando e sarà ricordato come l’anno peggiore degli ultimi 75 anni, per avere coinvolto il mondo intero in una crisi inizialmente sanitaria, diventata una pandemia planetaria che ha sconvolto la vita di ogni persona, provocando milioni di vittime, distruggendo parte significativa dell’economia mondiale e cambiando radicalmente il nostro modo di lavorare e d’interagire con gli altri. Sono psicologo e mi occupo di sport e del benessere di coloro che lo praticano siano essi campioni e professionisti o individui che svolgono questa attività come stile di vita. La pandemia ci ha obbligati a restare a casa, al distanziamento fisico e a eliminare l’attività sportiva per come la conoscevamo. La gestione del movimento e dell’attività sportiva sono diventate una fonte di stress aggiuntivo che ha prodotto effetti psicologici negativi sulle persone che svolgono anche solo un’attività ricreativa, fra gli atleti che praticano sport a livello professionale e le persone con disabilità che traggono giovamenti così evidenti dall’impegno sportivo svolto in maniera continuativa.

Partendo da queste considerazioni, ho iniziato a parlare di questa situazione sul mio blog, per capire meglio gli effetti della pandemia sulle persone e per fornire indicazioni su come poter praticare sport, rispettando le regole per fronteggiare e ridurre le possibilità di contagio. Il libro rappresenta un tragitto partito all’inizio di marzo, che mi ha portato a parlare di questo tema sino ad oggi che ci avviciniamo all’inizio del nuovo anno. Si parla della mentalità di chi non rispetta le regole, di come si può affrontare l’angoscia determinata da questo cambiamento radicale della vita quotidiana, di come si può allenarsi stando a casa e delle ragioni per cui è bene essere attivi e non subire questa situazione. Inoltre, vengono fornite indicazioni agli allenatori per non rinunciare al loro ruolo di guida e agli atleti per allenarsi in assenza delle gare. Infine, presento suggerimenti pratici e modi di pensare e di vivere questo periodo unico e totalmente imprevisto.

 

Tiro a volo: aspetti psicologici pandemia

I vincoli di oggi possono aprirci la mente?

Leggiamo queste informazioni provando a pensare se i vincoli che viviamo oggi possono servire ad aprirci la mente e incanalare la nostra creatività.

Ravi Mehta, Meng Zhu, Creating When You Have Less: The Impact of Resource Scarcity on Product Use Creativity, Journal of Consumer Research, 42(5), 2016, 767–782.

Man mano che diventiamo una società più abbondante, i nostri livelli medi di creatività diminuiscono?

I risultati di recenti ricerche sostengono questa ipotesi. In accordo con la nostra linea di ragionamento, l’analisi dei dati sui risultati dei Torrance Tests of Creative Thinking negli ultimi cinque decenni indica che, nonostante l’aumento dei punteggi del QI, i punteggi del pensiero creativo sono diminuiti in modo significativo dal 1990, soprattutto per gli studenti della scuola materna sino gli studenti della terza elementare (Kim 2011).

Diverse linee di ricerca suggeriscono una possibile correlazione negativa tra disponibilità di risorse e creatività e gli storici hanno suggerito una relazione negativa tra sovraconsumo e innovazione.
I risultati mettono in evidenza che:

  • Il materialismo mostra che alti livelli di valori materiali sono associati negativamente allo sviluppo intellettuale e spirituale degli individui.
  • Il consumo e la società sostengono che la creatività è incompatibile con la ripetitività della moderna produzione di massa, che sta spostando la cultura da intellettualmente impegnativa a una che è affannosa, familiare e divertente.
  • I paradossi della tecnologia suggeriscono che mentre l’innovazione e la tecnologia forniscono vari benefici come la libertà, il controllo e l’efficienza, potrebbero anche usurpare la motivazione e le competenze umane, portando alla dipendenza, all’inettitudine e al disimpegno.

Consapevoli dei nostri pregiudizi, eliminiamoli

Ogni giorno cerchiamo di dare una spiegazione alle nostre prestazioni e a ciò che sta accadendo intorno a noi. Questa tendenza è particolarmente presente quando dobbiamo spiegarci gli eventi inaspettati.

La pandemia che stiamo vivendo in questo anno è un evento che ricade proprio in quest’ultima situazione. Ci si chiede come è stato possibile che si diffondesse questo virus. Chi avrebbe mai potuto immaginare che ci trovassimo a vivere una situazione simile alle epidemie di colera e di peste dei secoli passati, e che la scienza e i nostri sistemi sanitari si sono fatti trovare completamente impreparati.

In questi momenti, troppo spesso cadiamo nel fornire spiegazioni basate sui nostri pregiudizi. Ci siamo detti che era colpa dei cinesi e che il virus era stato costruito in laboratorio o che è colpa dei migranti che l’hanno diffuso perchè sono sporchi. Altri hanno scelto spiegazioni diverse, i negazionisti hanno scelto il meccanismo di difesa che appunto si chiama negazione. Altri ancora hanno pensato che virus era una giustificazione perchè i governi potessero controllare la vita delle persone, per cui anche loro si sono ribellati all regole dei loro governi, per cui, ad esempio non hanno messo la mascherina e non si lavano le mani.

Come cambiare? Come accettare la realtà? Servirebbe un periodo di allenamento attributivo per imparare a spostare l’origine delle nostre spiegazioni da una interpretazione superficiale, egoistica e basata sui pregiudizi a una basata sull’analisi della realtà, su dati e non su impressione soggettive.

Servirebbe questo approccio per riguadagnare il controllo delle proprie emozioni, portando la nostra attenzione su quelle che favoriscono l’acquisizione di un auto-controllo basato non sulla paura ma sulla responsabilità che ognuno ha nei confronti di tutti.

 

Servono allenatori-leader.

“Sii sempre la versione migliore di te stesso e non la seconda versione di qualcun altro” diceva Judy Garland.

In questo periodo di crisi questa affermazione è più che mai attuale. Lo è per tutti ma ancora di più è una domanda a cui devono rispondere i leader, coloro che guidano e orientano gli altri.

La crisi sanitaria ha ripreso vigore e se in qualche misura il mondo delle multinazionali sta percorrendo delle strade per sostenere i loro leader e manager anche con la collaborazione delle più importanti società di consulenza, nel mondo dello sport italiano non si vede traccia di questa mentalità a partire dal calcio professionistico per giungere sino alle società sportive dilettantistiche. Se in NBA si propongono progetti specifici per potere permettere al pubblico di ritornare a vedere le partite, da noi si chiede più superficialmente di fare entrare allo stadio più persone sovrapponendo così l’obiettivo al mezzo. Senza spiegare come sia possibile salvaguardare la salute di tutti. Inoltre la litigiosità fra le diverse strutture dello stesso sport e la propensione a formulare proposte da “furbetti” sono l’altro elemento che non permette di formulare progetti documentati.

Andando a livello degli utilizzatori finali dello sport, anche in questo ambito, a mia conoscenza, non vi sono proposte. Allenatori e atleti sono lasciati da soli a vivere e gestire questo periodo di grande paura e difficoltà. Chi ha dovuto fermarsi e chi invece lavora sono costretti a vivere questo periodo facendo leva solo su se stessi e per quanto posso vedere dalla mia esperienza di questi mesi, le difficoltà si sono moltiplicate, molti hanno assunto un approccio solo pessimista o fatalista, mentre i più ottimisti hanno fatto leva sulla propria creatività ricercando e attuando soluzioni alternative pur di mantenere una presenza attiva.

“Viviamo nella paura” si sente dire sempre più spesso, non si ha più l’incoscienza dei primi mesi di lockdown, in cui si pensava che passato quel periodo si sarebbe tornati alla normalità, ora si vive l’angoscia di vivere una situazione che non si sa quando finirà e nel frattempo si vive alla giornata e ogni giorno aumentano le persone da noi conosciute che si ammalano.

E’ proprio ora che sentiamo di più questa solitudine sociale, che si somma non solo alla paura di ammalarsi di Covid-19 ma anche che ci possa succedere qualsiasi altro problema sanitario, per cui sappiamo che non saremo curati perché gli ospedali sono in crisi.

E’ in questo contesto che non possiamo lasciare soli le società sportive, gli allenatori e gli atleti, da quelli che si preparano per le prossime Olimpiadi ai giovani delle scuole calcio e di tutti gli sport, non dobbiamo lasciare soli neanche i giovani con disabilità per i quali lo sport è un’attività essenziale per il loro benessere e sviluppo.

In tal senso, nel rispetto delle regole formulate dal governo, sarebbe necessario che a partire dagli allenatori che hanno il rapporto diretto con gli atleti sia fornito un sostegno concreto (non solo economico) alla loro leadership per continuare a svolgere il loro lavoro sui campi per quelli a cui è permesso e a distanza per quegli sport che sono stati fermati.

In questo periodo, serve sviluppare e agire servendosi di queste competenze:

Calma e ottimismo intenzionale, essere fiduciosi ma consapevoli della gravità della situazione.

Ascoltare e condividere, i problemi e le paure delle persone con cui lavoriamo.

Agire, formulare programmi di allenamento adeguati alle situazioni in cui vivono le persone.