Le Olimpiadi di Rio stanno per iniziare. La piaga del doping, che umilia lo sport, è forte e non sembra retrocedere nonostante le squalifiche e i risultati del rapporto di Richard McLaren. Nonostante questo, per la maggior degli atleti, partecipare alle Olimpiadi rappresenta un evento straordinario (gli italiani presenti saranno 308). Sappiamo benissimo i costi e i rischi che le Olimpiadi impongono a chi le organizza ma il mito resiste oggi come una volta. Questo è l’evento sportivo mondiale più importante, accade una volta ogni quattro anni, per la maggior parte delle discipline bisogna qualificarsi e in alcune è presente solo un atleta per nazione. Rappresenta anche un legame forte con le nostre origini passate, dove si uniscono la ricerca del bello, della prestazione, della competitività, della pace e dell’eroe. Chi vince una medaglia alle Olimpiadi entra di diritto nella storia dello sport mondiale, per questo è la gara della vita. Infatti, vi sono atleti che non si sono più ripresi da una sconfitta alle Olimpiadi, altri che hanno vissuto i quattro anni successivi in attesa di quel giorno, in cui avrebbero dimostrato al mondo il loro vero valore. Per questo molti si dopano, perché vogliono aumentare al massimo la probabilità di vincere, fino a oltrepassare il confine del lecito. Vincere le Olimpiadi è il compimento di un sogno, che si è avuto decine di volte in precedenza. Non bisogna dare retta a quando gli atleti dicono: “non ci avevo proprio pensato, il mio obiettivo era fare il mio meglio”. Ci hanno pensato eccome ma sono stati bravi e brave ad allontanare questa idea e a concentrarsi solo su ciò che serviva per fornire una prestazione eccezionale. Infatti, la vittoria di una medaglia alle olimpiadi viene solo da una prestazione eccezionale, l’eccellenza in questo caso non consiste per forza in un record o in azioni irripetibili per qualità. Nasce dall’avere tenuto a bada il dolore interno dell’idea della sconfitta. L’atleta in questa condizione, per affrontare questa idea, non esagera nel suo desiderio di volere fare bene a tutti i costi, irrigidendo corpo e mente e deteriorando la prestazione ma non si butta neanche nella mischia senza pensare, mostrandosi così impulsivo. Accetta invece l’idea della sconfitta e fa esattamente quello che si è preparato a fare, in tutte quelle lunghe ore di allenamento, né di più, né di meno, cioè fa quello che è capace. Raggiungere questa condizione mentale non è facile ed è l’esito di un lavoro mentale su condotto su di sé. E’ questa la sfida che aspetta chi gareggerà a Rio.
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