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Fiducia e impegno

Si parla spesso di squadre di calcio che non sono tecnicamente all’altezza per potere essere competitive nel nostro campionato di Serie A. I commenti sono spesso centrati sulle difficoltà tecniche delle squadre o dei singoli giocatori. Raramente vengono fatti commenti ragionati sugli aspetti psicologici. A mio avviso esistono alcune abilità mentali che sono in larga parte disgiunte dall’abilità tecnico-tattica. Sono la fiducia, l’impegno, la concentrazione e lo spirito di gruppo. Partiamo dalla fiducia: i giocatori devono essere fiduciosi verso se stessi e il collettivo. Poi occorre l’impegno che garantisce intensità di gioco. Quando si dice che una squadra è determinata significa che gioca in modo convinto e con intensità. Si deve giocare con questo atteggiamento anche quando gli avversari sono più forti, anche quando si sono persi dei contrasti, proprio perché sono queste situazioni di difficoltà a misurare quanto è forte la convinzione collettiva e individuale e qual è il limite oltre il quale l’impegno diminuisce. In sostanza giocatori e allenatori non devono nascondersi dietro i limiti tecnici della squadra per giustificare prestazioni negative sotto il profilo mentale, perché questi aspetti vanno esaminati come indipendenti anche se si manifestano nello stesso momento.

La fiducia di una squadra

La Fiorentina ha perso la fiducia è quanto si legge sui giornali di oggi. E’ un tema ricorrente nelle spiegazioni di prestazioni negative di una squadra di calcio. Posta in questo modo la questione sembra anche difficilmente risolvibile nel breve tempo ed è un concetto che è utile per spiegare qualcosa che non si capisce o che non si sa come risolvere. Se invece si capisce di cosa è composta la fiducia probabilmente ci si sta già avvicinando alla cura. Un primo ingrediente della fiducia è la competenza, il sapere fare. La domanda è quindi: “I calciatori e la squadra sanno cosa sanno fare?” Secondo: “Sono concordi su come devono giocare nelle varie fasi della partita o hanno dubbi/timori?” Terzo: “Sanno mantenere con coerenza questo tipo gioco durante l’incontro?” Quarto. “La squadra ha un piano per reagire a situazioni di gioco impreviste?” Se non si risponde a queste quattro domande non si potrà migliorare, perchè non si è consapevoli di cosa manca, l’allenatore per primo. Non ci si può nascondere dietro la frase: “La squadra non ha seguito le mie indicazioni” oppure “La squadra non ha personalità”, bisogna conoscere cosa ha determinato questi effetti altrimenti si continuerà a perdere.

La fiducia spiegata dai campioni

“Nella mia carriera ho sbagliato più di 9.000 tiri. Ho perso circa 300 partite. Per 26 volte ho creduto di fare il tiro-partita e l’ho sbagliato. Nella mia vita ho fallito spesso e ho continuato a sbagliare. Ed è per questo che ho avuto successo” (Michael Jordan, basket).

“I campioni non sono fatti nelle palestre; sono fatti di qualcosa di profondo che hanno dentro di sé, un desiderio, un sogno, una visione” (Muhammad Ali, pugilato).

“Dato che sono un’eterna insoddisfatta, traggo la mia soddisfazione dalla riuscita dei miei progetti, sovente nelle avversità, è vero. Ho dovuto spesso affrontarle. Quando è accaduto, per me che vengo dalla Guadalupa, un’isola dove tutto è bello, adattarmi ai mattoni rossi dell’INSEP, cambiare l’allenatore e lottare contro il razzismo … mi sono ritrovata piccola dentro qualcosa che non era fatto per me, ma sono tignosa, un ragazzo mancato e mi sono arrampicata. In effetti, tutti quelli che hanno cercato di demotivarmi, perché ero giovane o perché ero nera, al contrario, mi hanno rinforzata nella mia determinazione” (Laura Flessel, scherma).

“Dopo il raggiungimento di un obiettivo riparto da zero. Usando un linguaggio attuale direi che mi resetto. Passate le emozioni, i festeggiamenti, torno in campo proponendomi degli obiettivi intermedi, come per esempio la vittoria in una gara internazionale. Per capirci meglio, è come se mi trovassi alla base di una scala, pronto per salire sino al piano superiore. Mi concentro quindi nell’affrontare il primo gradino della scala che, alla fine, gradino dopo gradino mi porterà al piano superiore, il mio obiettivo finale” (Francesco D’Aniello, tiro a volo).

“Un altro episodio che ricordo volentieri e che insegna che nella vita niente è impossibile riguarda il Giro d’Italia del 1956. Era l’ultimo Giro della carriera e a scendere da Volterra caddi e mi fratturai una clavicola. Il giorno dopo ricaddi su quella frattura e fermai l’ambulanza che mi voleva portare in ospedale. Affrontai la salita del monte Bondone con la clavicola rotta e chiusi il Giro al secondo posto. Bisogna sempre guardare avanti e mai adagiarsi. Io adesso punto ai cent’anni e non è una battuta” (Gianni Magni, cliclismo ).

“Graziano è un buon padre ed è stato fondamentale per la mia carriera. E’ stato un pilota di grande talento che però per sfortuna – infortuni, cadute e incidenti – non ha vinto quel che doveva vincere. Io sono arrivato per finire il lavoro che lui aveva cominciato. Umanamente mi ha insegnato che bisogna fare le cose divertendosi, essere seri, lavorare, però allo stesso tempo senza prendersi troppo sul serio. Ho fatto mio il suo modo di pensare.” (Valentino Rossi, motociclismo).