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Chi forma gli istruttori?

Per la maggior parte dei giovani, bambini e adolescenti, sta iniziando un nuovo anno sportivo e lo stesso vale per le società sportive che l’organizzano. In questo periodo dirigenti sono alle prese con i problemi pratici che si presentano ogni anno, aumentai ora dalla nuova legislatura sportiva. Lo sport giovanile diffuso in migliaia di società sportive sul territorio e non è raro che abbiano difficoltà a trovare istruttori e allenatori e nel contempo il turnover è piuttosto elevato. Ciò è determinato non certo dalla carenza di offerta e una causa importante proviene dalla scarsa retribuzione e dalla difficoltà di attribuire un numero di ore congruo settimanale.

Non voglio entrare nel merito di questa problematica ma un effetto di questa situazione viene posta poca attenzione alle competenze professionali del professionista mentre si preferisce chi mostra disponibilità ad accettare le condizioni che vengono proposte. Gli aspetti psicologici e di metodologia dell’insegnamento vengono in linea di massima ignorati e non è certo raro che giovani allenatori e istruttori si trovino a svolgere un lavoro per il quale non sono preparati.

Dico questo per la ragione, insieme ai miei collaboratori, seguiamo circa 15o tesi all’anno di psicologia dello sport nell’ambito delle scienze motorie e posso affermare che dopo un lavoro i tesi di sei mesi, questi laureando hanno acquisito nell’ambito specifico scelto da loro delle conoscenze e competenze psicologiche significative per il lavoro che andranno aa svolgere.

Ci vorrebbe un percorso simile anche all’interno delle federazioni sportive o delle organizzazioni sportive. Fare un corso anche con 10 ore di psicologia ovviamente non rappresenta un valore aggiunto professionale, permette forse di acquisire una maggiore consapevolezza su determinati aspetti del proprio lavoro.

Questo a mio avviso è un grande problema, perchè solo pochi decidono di formarsi attraverso un investimento personale, la maggior parte non intraprende questo percorso. E’ un problema che le società sportive dovrebbero porsi e porre a loro volta alle federazioni di appartenenza.

La mancanza di formazione degli allenatori nello sport

Come succede spesso a ogni inizio di anno scolastica si discute del ruolo degli insegnanti, dei genitori, di nuove regole sull’uso degli smartphone e su tutto quello che nonna bene nella nostra scuola italiana. Su questo tema ho scritto già diversi blog.

Sul tema dell’educazione dei giovani sappiamo benissimo quanto lo sport sia uno mezzo di crescita e di sviluppo se utilizzato nel modo migliore. Resta da capire chi si occupa della formazione degli istruttori e degli allenatori. I laureati in scienze motorie escono dall’università con un bagaglio di conoscenze psicologiche anche rilevante, ma nel percorso di studi non hanno sviluppato la capacità di saperle applicare. Le lotte tra il Coni e Sport Salute hanno ridotto al minimo le occasioni di formazione e il numero dei corsi, restano le azioni formative svolte dalle singole federazioni, ognuna con i suoi pregi e limiti, strette fra troppi vincoli che una Scuola dello Sport nazionale permetteva di superare a livello di qualità e quantità di proposte formative e qualità ed esperienza dei formatori. Sono anche diversi anni che non viene più pubblicate l’unica rivista italiana di scienze dello sport sembra a causa di queste problematiche istituzionali.

Non è poi pensabile che il calcio, la pallavolo, l’atletica, e il nuoto per citarne solo alcune abbiano diverse proposte formative, quando i principi base di un percorso educativo rivolto ai giovani sono sostanzialmente analoghi, al di là della specifica proposta sportiva.

E’ interessante notare che negli sport più praticati spesso sono le stesse società sportive che avendo al loro interno uno psicologo, forniscono in questo modo un supporto formativo sul campo ai loro istruttori e un sostegno alle famiglie e ai giovani. Questo è frequente nel tennis e nel calcio giovanile, per il fatto che le rispettive federazioni prevedono formalmente l’inserimento dello psicologo nelle singole società. Per la federazione tennis e padel devono inoltre essere stati qualificati da un corso federale di preparatore mentale di primo livello aperto solo a psicologi. Per la federcalcio è invece necessario che lo psicologo abbia svolto un master di psicologia dello sport.

Come spesso succede i Italia, le carenze istituzionali vengono superate direttamente alla base da chi svolge direttamente il lavoro con i giovani.

 

 

Chiellini: gli atleti dovrebbero studiare

«Lo studio apre la mente e a Los Angeles ho capito quanto possa essere formativo un soggiorno qui, dove studio e sport giocano la stessa partita»(Giorgio Chiellini). Forse queste dichiarazioni di un campione serviranno a iniziare a cambiare la mentalità per cui un atleta non può dedicare tempo allo studio.

Nel nostro paese la situazione è grave poiché vi sono famiglie che non sono consapevoli del danno che determina nei loro figli frequentare istituti scolastici in cui studiano molto poco e la promozione è un risultato certo. E’ altrettanto vero che la scuola pubblica è spesso poco orientata a comprendere le esigenze di questi giovani coinvolti nello sport. Il saldarsi di queste due mentalità, quella della scuola e delle famiglie determina la fortuna economica delle scuole private che offrono a pagamento percorsi facilitati.

La scuola dovrebbe essere anche educazione alla socialità, a vivere insieme ad altri che svolgono vite diverse. Perdere questa opportunità comporta restare socialmente deprivati e con minori capacità di confrontarsi con gli altri sapendo mantenere il proprio punto di vista.

Se i giovani atleti non frequentano scuole che vorrei chiamare qualificate chi gli insegnerà a servirsi dei social e del loro smartphone? Forse i genitori se sono fortunati. Gli allenatori non hanno certo tempo da dedicare a queste situazioni, e poi ne sarebbero capaci o anche loro sono delle vittime di queste tecnologie?

Sempre il calcio ci ha dimostrato cosa può accadere quando questi percorsi saltano. Tuttavia, la questione è molto più ampia e riguarda la capacità di avvertire e sapere condividere un disagio, avere intorno persone che comprendono e sanno indicare dei percorsi di cambiamento.

La scuola e le famiglie dovrebbero quindi essere il centro della formazione dei giovani, mi sembra però che insegnanti e genitori spesso non siano nella condizione di svolgere quetso ruolo. Ma chi li può aiutare?

 

 

I nostri allenatori hanno una formazione incompleta

Nei miei incontri con gli allenatori quello che emerge in modo evidente è il loro desiderio di acquisire maggiori competenze psicologiche per relazionarsi con i loro atleti e nello stesso tempo la difficoltà le conoscenze che acquisiscono nei corsi di formazione. Ciò in quanto ricevono molte informazioni, anche di qualità elevata, ma la difficoltà risiede nel non sapere come metterle in pratica. E’ un po’ come conoscere la grammatica di una lingua straniera e poi andare in quel paese e cominciare a parlare. E’ molto difficile e il rischio è che le persone, in questo allenatori, non si servano di queste informazioni e si affidino in larga parte a ciò che loro pensano che sia la cosa migliore da fare.

Purtroppo non vi sono alternative a questo rischio se non nella decisione dell’allenatore d’intraprendere un percorso personale di autosviluppo centrato sullo sviluppo delle loro abilità di leader nel contesto dove operano.

Si può affermare che le Federazioni e La Scuola dello Sport non si occupano di questo livello di formazione che a mio avviso è essenziale per lo sviluppo professionale di chi sarebbe veramente motivato a percorrere questa strada. Il rischio come sempre è che questi allenatori si affidino a professionisti con poca esperienza o ai cosiddetti motivatori che promettono molto in poco tempo.

E’ veramente un peccato che le organizzazioni sportive non si occupino di questi formativi che sono invece ampiamente diffusi nelle promozione dei manager e dei giovani potenziali nelle aziende.

La formazione in psicologia dello sport

Negli ultimi 5 anni il numero degli iscritti all’Ordine degli psicologi è aumentato di molte migliaia, nel 2016 erano e 100.566 e nel 2020 sono diventati 117.762. Nel 2011 erano molti di meno, 81.757.

In questo periodo, sono impegnato nell’organizzare un master di psicologia dello sport e mi sto rendendo conto che non è semplice raggiungere un ampio numero di iscritti. Alcuni colleghi mi dicono che ciò sia dovuto alla concorrenza di altri master, taluni online, che rispondono meglio alle necessità dei giovani psicologi e di conseguenza hanno un costo più limitato.

Questa spiegazione però non la trovo convincente per il semplice fatto che negli ultimi 10 anni il numero degli psicologi iscritti all’Ordine è aumentato 36.005 unità e solo negli ultimi 5 anni di 17.196; con un incremento di circa 5.000 nuovi psicologi iscritti nel 2020 rispetto all’anno precedente. Quindi, vi è un grande numero di psicologi che terminati gli studi dovrebbero intraprendere un percorso di formazione post-laurea in uno nei diversi campi della psicologia.

La psicologia dello sport spesso non viene scelta perchè non è chiaro quali siano i percorsi professionali che questo ambito di lavoro può offrire. Nel nostro paese spesso si vive la psicologia dello sport come scelta fra due opzioni, avere la fortuna di lavorare con un Campione o lavorare a livello di attività giovanile (ad esempio le scuole calcio), che si ritiene sia un lavoro che non richiede specifiche competenze.

E’ chiaro che se questa è la lettura del mercato del lavoro è inutile impegnarsi in una formazione impegnativa. Di conseguenza, essendo poco preparati ad affrontare situazioni professionali complesse per mancanza di un training adeguato, le opportunità lavorative riguarderanno solo situazioni semplici e facilmente gestibili con le competenze possedute.

Il Master di Psicosport si propone di colmare questa lacuna fornendo una formazione qualificata, con docenti universitari e consulenti di alto profilo riconoscibile dai loro curriculum, un tirocinio di cinque mesi presso società sportive supervisionato e un programma di coinvolgimento degli psicologi anche dopo il termine del Master.

Chi fosse interessato a saperne di più sul tema dei nuovi orientamenti professionali in psicologia dello sport mi può scrivere e gli invierò l’articolo che ho pubblicato su questo argomento sulla rivista della Scuola dello Sport.

L’ attività giovanile e la formazione degli allenatori

Il Seminario offrirà una panoramica delle più recenti ricerche nel campo dell’allenamento dei giovani atleti. In modo particolare verranno illustrati due modelli utilizzati per favorire un maggiore coinvolgimento ed assicurare il massimo impegno dei giovani nelle attività sportive: il Personal Assets Framework (PAF) e il Developmental Model of Sport Participation (DMSP).
Proprio quest’ultimo Modello, che mira allo sviluppo dei tre obiettivi tipici dei programmi per le attività giovanili, ossia Prestazione, Partecipazione e Sviluppo Personale, sarà protagonista del prossimo numero della Rivista della Scuola dello Sport con un approfondito Articolo.
Durante la giornata, si analizzeranno le tre componenti fondamentali di questi Modelli: le caratteristiche delle attività da svolgere, le competenze gli allenatori ed il contesto operativo.

Riguardo la formazione degli allenatori, verrà indicata come utile una prospettiva che metta al centro le relazioni interpersonali come strumento necessario per sostenere una partecipazione a lungo termine da parte degli allievi.

Il Relatore principale del Seminario è il Prof. Jean Cotè della Queen’s University di Kingston (Canada), il quale, per mezzo dello “Sport Psychology PLAYS Research Group”, da lui fondato e finanziato tra gli altri anche dalla English Football Association, svolge costante attività di ricerca sui fattori psicosociali che influenzano la performance e la partecipazione nell’attività sportiva, con particolare attenzione al contesto giovanile.
Il Docente rappresenta sicuramente un punto di riferimento in campo Internazionale per tutti gli studiosi ed i tecnici che si occupano di allenamento giovanile e della formazione degli allenatori.

Corsi di formazione di Calcio Integrato

Insegnare lo sport richiede competenza e responsabilità professionale. In particolare, insegnare uno sport di squadra come il calcio a bambini con disabilità intellettive e relazionali comporta una formazione che va oltre quella assolutamente importante ottenuta attraverso il percorso universitario. Per queste ragioni l’ASD Accademia di Calcio Integrato promuove due Corsi di formazione gratuiti, grazie al finanziamento della Presidenza del Consiglio Regionale del Lazio, con la collaborazione con il Comitato Italiano Paralimpico, la Federazione Italiana Sport Paralimpici  degli Intellettivo Relazionali e l’AS Roma.

Questi  Corsi di formazione hanno come obiettivo di formare operatori provenienti da diverse professionalità che possano lavorare in percorsi di calcio integrato rivolti a bambini (6-12 anni) con disabilità intellettive e relazionali.

La proposta formativa si basa sull’esperienza dell’AS Roma e dell’Accademia di Calcio Integrato all’interno del progetto “Calcio Insieme”: un modello d’integrazione attraverso il calcio, per bambini con disabilità intellettive e relazionali. Il Corso si suddivide in una parte teorica generale e una parte pratica. Lo strumento didattico principale è l’interazione e la partecipazione dei corsisti attraverso gruppi di lavoro ed esercitazioni pratiche in aula e in campo. L’utilizzo di situazioni d’aula interattive e di gruppo ha lo scopo di sviluppare un apprendimento partecipato, che attraverso l’esperienza pratica in campo potrà essere da subito sperimentato. Le giornate di formazione hanno come obiettivo, inoltre, di fornire le competenze necessarie per sostenere, aiutare e guidare i bambini con disabilità, ma anche per gestire correttamente eventuali problematiche. Il calcio e la palla saranno gli strumenti chiave per guidare il bambino all’apprendimento sportivo e allo sviluppo delle abilità motorie, sociali e psicologiche ad esso collegate. Il corsista al termine della formazione avrà acquisito le competenze base per allenare, gestire e valutare attività di calcio integrato per bambini con disabilità intellettive e relazionali. Il corso prevede 20 ore di lezione frontale e 4 ore di attività pratica.

MODALITÀ’ DI PARTECIPAZIONE

Ai Corsi, totalmente gratuiti grazie al contributo della Presidenza del Consiglio Regionale del Lazio, possono accedere 20 iscritti per ogni corso, per un totale di 40. Possono iscriversi ai Corsi laureati in scienze motorie, psicologi e medici dello sport. I Corsi si svolgono a Roma.

DATE DI SVOLGIMENTO

Il primo Corso si svolgerà: 6 -7 maggio e 13-14 maggio.

Il secondo Corso si svolgerà: 27-28 maggio e 10 – 11 giugno.

Per informazioni e iscrizioni: 

ASD Accademia Calcio Integrato

e-mail segreteria@accademiacalciointegrato.org

Sito Web: www.accademiacalciointegrato.org   www.fisdir.it

Corso online: Aspetti psicologici del calcio a 5

Presentazione del corso online

Aspetti Psicologici del Calcio a 5 

Emiliano Bernardi

 Il calcio a 5 è una delle discipline sportive più praticate nel nostro paese a livello amatoriale e comunemente conosciuto come “calcetto”.

Il professionismo invece si chiama Calcio a 5 e a livello internazionale è noto come “Futsal” e l’Italia insieme alla Spagna e ovviamente al Brasile è tra le nazioni più̀ competitive al mondo.

Il futsal nasce in Uruguay negli anni 30 e si è espanso velocemente in tutta l’America latina e in Europa soprattutto in Spagna e in Italia, dove il movimento del calcio a 5 negli ultimi 30 anni è cresciuto notevolmente.

Molti dei più̀ grandi campioni di calcio a 11 brasiliani hanno iniziato la loro carriera come calciatori di calcio a 5: Pelé́, Zico, Socrates, Ronaldinho e Ronaldo per nominarne solo alcuni. Anche la famosa Cantera del Barcellona (il settore giovanile) abitualmente utilizza campi e regole del futsal per allenare i suoi giovani atleti, con risultati eccellenti.

Il futsal è l’ideale per un bambino: il campo ridotto, gli spazi brevi, la velocità, rendono il gioco più̀ veloce e intenso, perfetto per la crescita tecnica e psicologica.

I principali aspetti psicologici in gioco nel calcio a 5

Al fine di effettuare un intervento professionale di qualità̀ è importante conoscere quali siano i principali aspetti psicologici che fanno parte intrinsecamente di questo sport: innanzitutto è importante sottolineare che si tratta di una disciplina “open skill” quindi con molte variabili e possibilità̀ di scelta, è un gioco a elevata intensità̀ in cui i continui scatti riducono rapidamente le energie mentali e fisiche dei giocatori, i tempi di reazione e decisionali devono essere molto rapidi e inoltre il contatto fisico può essere causa di reazioni impulsive e non controllate. Un altro importante aspetto di cui tener conto è che l’errore di un giocatore può essere fatale e determinare una rete, in uno sport in cui si gioca in spazi ristretti e con quattro giocatori di movimento, se uno di questi commette un errore può mettere gli avversari in condizione utile per tirare in porta.

Nel calcio a 5 è richiesto un continuo ed elevato livello di coesione, dato il numero limitato di giocatori si richiede un’estrema collaborazione, soprattutto nei momenti di maggiore stress agonistico, pertanto il controllo emotivo dei giocatori deve essere totale.

Lo psicologo che opera nel calcio a 5

La figura dello psicologo si sta diffondendo molto velocemente all’interno di questo sport e molti dei principali top club mondiali hanno questa figura nel proprio organigramma. La costante crescita del settore giovanile e l’espandersi capillare di scuole e accademie di calcio a 5 nel nostro paese stanno spingendo sempre più la richiesta di esperti in psicologia dello sport con esperienza in questa disciplina.

All’interno della società di calcio a 5 i principali interventi riguardano:

  1. L’allenatore ed il suo staff, attraverso l’utilizzo di strumenti psicologici come colloqui individuali e di gruppo, test e questionari come il CBAS (Coaching Behavior Assessment System, Smith, Small e Hunt, 1976) o il 5C Program (Harwood e Pain, 2004) o l’utilizzo di strumenti come la Leadership Scale for Sport (Chelladurai, Saleh, 1980).
  2.   Il mental training per gli atleti, attraverso le tecniche di attivazione e rilassamento come il training di Jacobson la pre-performance routine, la gestione delle emozioni con l’identificazione della condizione pre-gara ottimale con l’IZOF (Hanin, 1980), l’allenamento ideomotorio, l’imagery, l’allenamento dell’attenzione e la sua valutazione con il TAIS (Nideffer, 1976).
  3.  La formazione e l’aggiornamento dei dirigenti nelle aree della leadership e della comunicazione efficace.
  4. Il settore giovanile in particolare la relazione con i genitori dei giovani atleti e il ruolo dell’allenatore come educatore.
  5. Progetti sociali e di integrazione per persone con disabilità sia fisica che psicologica, in territori a rischio e progetti di collaborazione con le scuole.

Chi non conosce questo sport può pensare che sia semplicemente come il calcio a undici ma con un numero minore di giocatori in campo, in realtà molti grandi allenatori utilizzano metodi di allenamento basati sulle dimensioni del campo da Futsal quando vogliono sviluppare nei loro atleti abilità tecniche specifiche o allenare l’intensità di gioco e la coesione del proprio gruppo.

Proprio le dimensioni del campo, il tempo di gioco effettivo, il numero dei giocatori in campo rende questo sport più simile ad altre discipline come la pallamano o la pallacanestro e il tipo di allenamento quotidiano sviluppa abilità tecniche tali da farne uno degli sport più entusiasmanti e piacevoli cui assistere anche solo come semplice spettatore.

Maggiori informazioni sul corso:

http://formazionecontinuainpsicologia.it/corso/gli-aspetti-psicologici-del-calcio-5/

La FIGC apre allo psicologo dello sport

In attesa che  il ruolo di psicologo dello sport venga nuovamente richiesto fra i criteri indispensabili per ottenere la qualifica di Scuola Calcio di Elite, il settore giovanile e scolastico della Federcalcio ha comunque effettuato un significativo passo in avanti nel riconoscimento di questa figura professionale.  Ha infatti deciso e comunicato alle Scuole Calcio che la scelta dello psicologo da utilizzare nella società sportiva dovrà avvenire solo tra coloro che hanno frequentato un master in psicologia dello sport. Pertanto dal prossimo anno non basterà essere solo laureati in psicologia ma sarà necessario possedere un titolo che dimostri di avere svolto questo specifico percorso formativo in psicologia dello sport. Il riconoscimento della specificità di questo ambito professionale è importante poiché come avviene per il medico vi sono specifiche competenze che lo psicologo ignora e che invece sono necessarie per lavorare in ambito giovanile e vi sono competenze cliniche o psicoterapiche che qualora possedute dallo psicologo devono essere adeguate al contesto nel quale si andrà a lavorare.

Formazione psicologica allenatori

Non ho mai organizzato Corsi di formazione in ambito sportivo dedicati a migliorare le abilità psicologiche degli allenatori. Invece da un po’ di tempo ci pensavo perché il ruolo psicologico svolto dai tecnici è di estrema importanza a tutti i livelli, dai principianti agli atleti di valore assoluto, dai personal trainer agli istruttori dei bambini, dagli sport di squadra a quelli individuali. Oggi che il profilo di competenze dell’allenatore non può più essere basato come lo è stato in passato su un industrioso fai da te è necessario che il sapere tecnico sia accompagnato a un sapere gestire le persone e i gruppi. Ecco quindi che ho accettato volentieri l’idea del Centro di Psicologia dello Sport di Macerata di organizzare a Roma quattro giornate di psicologia dello sport dedicate a temi pratici che hanno l’obiettivo di aumentare le competenze professionali dei tecnici sportivi.

Ognuna è organizzata su un tema principale. La prima “Io coach” affronterà i temi della comunicazione interpersonale e dell’intelligenza emotiva. Quanti problemi sorgono perché non ci si sente capiti, questa giornata parlerà di questo e di come fare per migliorare. La seconda giornata affronta il tema “Squadra”, sapere attribuire obiettivi di squadra e individuali, capire perché alcuni si uniscono insieme mentre altri si odiano; e ancora è vero che è più facile guidare un gruppo di ragazzi piuttosto che un gruppo di ragazze? Gli allenatori maschi possono capire le loro giocatrici? Queste sono solo alcune delle domande a cui questa secondo incontro fornirà indicazioni e soluzioni pratiche. La terza giornata è invece dedicata alla “Componente mentale dell’allenamento” e verranno affrontati gli aspetti psicologici della preparazione fisica. Le routine sono solo un rituale o svolgono una funzione più complessa? E’ giusto richiedere più attenzione o è una frase che non vuole dire niente? L’allenamento ideomotorio si pratica solo in gara o è utile anche in allenamento? Si può parlare di preparazione mentale a un esercizio o non serve? La quarta giornata è invece centrata su “Lavorare in un settore giovanile”. Si parlerà ovviamente dei genitori: sono una risorsa o solo un problema? E poi ancora se i bambini non ragionano come gli adulti, perché li alleniamo come se lo fossero? E molti altri temi, fra cui: quali sono le caratteristiche dell’allenatore del settore giovanile?

Con questa breve sintesi ho voluto indicare che i temi saranno affrontati dal versante professionale, perché il nostro scopo è di fornire un’occasione di riflessione critica sulle proprie competenze e un’opportunità di miglioramento professionale. Questi sono i nostri obiettivi e quello che chiederemo ai partecipanti sarà di essere disponibili a interagire in maniera attiva così da rendere veramente speciali per tutti noi queste giornate.