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Formazione in psicologia dello sport

Spesso ricevo email di giovani psicologi che vogliono lavorare nello sport e mi chiedono quale possa essere il percorso formativo migliore. Quello di Roma in cui ero coinvolto nella direzione non è attualmente attivo e non so se si saranno ulteriori edizioni. Ve ne sono altri in cui intervengo come docente ma non so francamente affermare quanto siano validi perchè non conosco i docenti, non so quale sia la proposta di tirocinio e il tempo speso da chi lo dirige nel guidare questo tipo di formazione. Non voglio però neanche frustrare le aspettative di questi giovani colleghi nel non dare loro una risposta. Ecco quindi alcune indicazioni.

La psicologia dello sport è una disciplina molto variegata che può riguardare interventi nello sport di prestazione ma anche interventi nello sport per tutti e nella promozione del movimento come forma di benessere, inoltre riguarda tutte le fasce di età dai bambini della scuola elementare sino agli anziani. In generale, il laureato in psicologia non sa cosa sia la psicologia dello sport; se è stato un atleta a livello amatoriale o  di alto livello può fare riferimento alla sua esperienza diretta oppure sa quello che quello che i media trasmettono, ma non possiede una conoscenza della materia. 

Prima attività da effettuare per chi fosse interessato è di documentarsi leggendo non libri divulgativi bensì manuali di psicologia dello sport, ne trova in italiano ma deve assolutamente leggerne in inglese per sapere cosa studiano i suoi colleghi di altri paesi. La Human Kinetics è la principale casa editrice a cui fare riferimento.

Seconda attività da effettuare è studiare l’apprendimento motorio che è alla base di ogni forma di apprendimento che si tratti d’imparare i movimenti di base (camminare, correre, saltare, lanciare) o movimenti sportivi specifici. Questo tipo di conoscenza non fa parte del corso di studi degli psicologi, mentre è importante per potere capire in che modo gli aspetti cognitivo- emotivi intervengono nelle varie fasi dell’apprendimento.

L’acquisizione di queste conoscenze non trasforma in psicologi dello sport ma permette di capire cosa sia questa disciplina e se veramente questa materia c’interessa o siamo stati abbagliati dalla fantasia di seguire atleti famosi e di fare in qualche misura la loro vita.

In sostanza leggete e poi leggete ancora in modo da costruirvi una solida base teorica. A questo punto è utile l’osservazione di allenatori al lavoro, se avete questa opportunità sfruttatela per capire come si comportano e l’interazione fra loro e gli allievi.

Infine, andate sul sito della Divisione 47 dell’American Psychological Association troverete dei gruppi a cui potete iscrivervi e cominciare a scambiare informazioni e magari chiedere dove andare a fare esperienze di tirocinio o di studio in Europa o in Nord America.

Questi sono alcuni suggerimenti che mi auguro possano essere utili.

Problemi allenatori con atleti sono ovunque gli stessi

I problemi che incontrano gli allenatori sono in tutto il mondo gli stessi. Altro aspetto, rispetto a venti anni fa gli allenatori sono più competenti dal punto di vista psicologico è quindi una sfida maggiore per gli psicologi quella di essere in grado di rappresentare per loro un valore aggiunto. Si rende pertanto sempre più urgente che gli psicologi che vogliono orientarsi professionalmente nello sport siano realmente qualificati. D’altra parte nessuno va da un cardiologo quando gli serve un ortopedico, o da un ingegnere spaziale quando gli serve un ingegnere civile. Lo stesso deve valere per le diverse specialità della psicologia, altrimenti se tutti, solo perchè laureati, possono intervenire in qualsiasi situazione senza conoscerne i tratti distintivi, le necessità e quant’altro, forse allora va anche bene scegliere un motivatore laureato in scienze politiche per lavorare con una squadra.

Cari colleghi formatevi in psicologia dello sport altrimenti lasciate perdere

Verifico ogni giorno quanto sia necessario che lo psicologo che intenda lavorare nello sport sia competente in psicologia dello sport. Abbia conoscenze approfondite in questo ambito, abbia le abilità richieste per dare un contributo significativo nell’ambiente in cui si propone e infine conosca lo sport. Sono considerazioni scontate per un americano, un tedesco o un norvegese, non lo sono per niente per uno psicologo italiano. Questo rappresenta un grande limite allo sviluppo di questa professione nel nostro paese. Questo accade perchè gli psicologi non sanno niente di psicologia della prestazione (non solo sportiva), non conoscono le regole dell’apprendimento motorio che sono alla base dell’allenamento, non conoscono le esigenze delle organizzazioni sportive, non sanno cosa vuole dire affrontare situazioni agonistiche molto intense in cui si chiamati a esprimersi al meglio. In relazione alle gestione dello stress agonistico non hanno sviluppato una sensibilità professionale specifica a capire e a fornire un supporto pertinente. Queste competenze professionali non s’inventano, si possono solo imparare da psicologi esperti e che svolgono da anni questo lavoro. Purtroppo anche le federazioni e le società sportive troppo spesso si affidano a psicologi giovani e privi di formazione o a psicoterapeuti, certamente bravi nel trattare le psicopatologie, ma che sono privi delle minime conoscenze di questo mondo e che di solito trattano gli atleti come pazienti. Tutte le settimane incontro allenatori e atleti che mi raccontano le loro esperienze negative con gli psicologi. Il mio consiglio ai colleghi, se non siete capaci lasciate perdere o altrimenti formatevi.

Percorsi europei per donne dirigenti nello sport

Per la prima volta in Italia viene organizzato un percorso di formazione sul tema “Il valore della differenza nella gestione dell’attività sportiva” di 224 ore, tra formazione in aula e stage, riservato a 18 partecipanti organizzato a Roma dall’ Università di Tor Vergata in collaborazione con Federculture e Sportlink.

Il corso si propone di preparare futuri quadri e dirigenti donne, attraverso il trasferimento di conoscenze e competenze che consentano alle partecipanti di inserirsi nel mondo del lavoro dello sport con funzioni di responsabilità manageriale nei vari ambiti della progettazione, organizzazione, gestione e valutazione di servizi e strutture per le attività motorie e sportive, da quelle ricreative a quelle professionali. Il percorso affronterà tematiche complesse, quali il management strategico, gli aspetti di marketing e comunicazione, le nozioni di diritto, contrattualistica e fiscalità, i principi di controllo di gestione, oltre all’ottimizzazione della pianificazione e dei costi di esercizio, agendo sui principi di risparmio energetico e aumentando le fonti di ricavo. Al tempo stesso, il corso si propone di creare una figura professionale innovativa, trasferendo competenze specifiche di project management di eventi sportivi a supporto degli Enti locali, soprattutto se di medie e piccole dimensioni che non hanno nel loro organico risorse umane competenti nella realizzazione di eventi sportivi, in tutte le loro fasi.

Il corso è riservato a candidati  in possesso dei seguenti requisiti:

  • 12 Donne e 6 Uomini
  • Età compresa tra i 25 e i 49 anni
  • Diploma di maturità e di scuola media superiore oppure Qualifica professionale post-diploma oppure Diploma universitario o laurea di base
  • Inoccupati, Disoccupati o Lavoratori Autonomi
  • Residenti nella Regione Lazio

Il corso è GRATUITO poichè finanziato dal Fondo Europeo e sono previste delle indennità di frequenza per tutti i partecipanti. Per partecipare consulta il Bando e scarica la Domanda di partecipazione nella sezione  Bandi di http://impresasport.wordpress.com/.

Nell’ambito del Progetto Percorsi Europei per lo Sport sono previste anche attività di accompagnamento per la creazione d’impresa

Mondiale e allenamento mentale

Ho ricevuto questo contributo sulle ragioni della sconfitta del Brasile che condivido con piacere.

I have been working in the field of sport psychology for 38 years in Canada, Australia, and now in Brazil, and I believe that I know why Brazil lost to Holandia in Copa 2010: Coaching experience and styles, empathy with the players, and the mood states of Dunga and the Brazilian players in the second half of today’s game.
Obvious comparisons can be made between the two new South American national coaches: Dunga and Maradona. Neither has any coaching experience, academic training in physical education, nor in the coaching sciences, which are most common in all of North America and Western Europe.

They obviously have no technical training in football and have to rely upon, their playing experiences, and assistant coaches who have such a background.

From my perspective from working with Canadian National teams, the best results occur with teams when the coach is academically trained and has learned positive perspectives, has concern and love and respect for his players, is permitted to introduce young players early on at the international levels of competition, and likes to be laughing, hugging, and congratulating them, all factors which have contributed to Maradona’s success. I have written this before the Argentina-Germany game, but after Brazil’s loss to Holandia.

What was most obvious to me occurred before the first half break, during which Brazil’s brilliant play lead to a a 1-0 lead. However, during the game and most of of the half-time video clips, there were scenes of Dunga ranting and raving, throwing his arms into the air and hitting the banco, even though they were still winning against a tough opponent!

In the sport psychology literature, there are individuals who demonstrate “Type A behaviors”, which are characterized by: “A strong sense of urgency, an excess of competitive drive, and an easily aroused sense of hostility”-and this was when they were winning!

My best guess is that coach Dunga brought this sense of urgency, competitive drive and hostility into the dressing room and communicated it to his players at half-time. This may have resulted in the upsetting of the positive team “mood”, possibly broke the teams’s positive spirit and skill levels, through his negative psychological state of mind during the positive first half. This was perhaps through criticism, sarcasm, and inappropriate feedback to these multi-millionaires representing their country.

There is an old expression in English: “If you can’t perform, then teach”. In Dunga’s case, it might be more appropriate to state: “If you can’t teach (or coach), step out of the way for someone who can”. As a Brazilian resident, my heart is with the antiquated organization in decision-making, governance and control for both coaches and players, but my money is on Maradona’s, equally antiquated, but positive style in humanized coaching and team development.

John H. Salmela, Ph.D.
University of Ottawa, Canada