Alzare lo sguardo al di sopra della vita quotidiana, aiuta a viverla con maggiore accettazione e a dare un senso alle nostre azioni e pensieri che non abbia solo senso nell’immediato ma esprima un modo di essere più profondo.
Eduardo Galeano ci aiuta molto in questo lavoro e attraverso conosciamo l’esperienza di un altro unico, Albert Camus.
“Nel 1930 Albert Camus era il San Pietro che custodiva la porta della squadra di calcio dell’Università di Algeri. Si era abituato a giocare da portiere fin da bambino, pecche quello era il ruolo in cui meno si consumavano le scarpe. Di famiglia povera, Camus non poteva concedersi il lusso di correre in mezzo al campo: ogni sera la nonna gli controllava le suole e gli dava una solenne lezione se le trovava consumate.
Durante i suoi anni da portiere. Camus imparò molte cose: – Ho imparato che il pallone non va mai verso un giocatore dove lui si aspetta che venga. Questo mi ha aiutato molto nella vita, soprattutto nelle grandi città, dove la gente solitamente non è quel che si dice retta -.
Imparò anche saggezze difficile: a vincere senza sentirsi Dio e a perdere senza sentirsi spazzatura, e capì alcuni misteri dell’anima umana, nei labirinti della quale seppe successivamente indagare, in un pericoloso viaggio lungo il cammino dei suoi libri”.
(Eduardo Galeano, Splendori e miserie del gioco del calcio, p.66)