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Lo sport è gioia ritrovata

Ci aspetta un mese di eventi sportivi planetari, non solo gli europei di calcio, ma anche il Tour de France, Wimbledon e poi le Olimpiadi di Tokyo. Lo stiamo vivendo in questi giorni di calcio, si è creata grande eccitazione, in tutti noi sembra prevalere un senso di gioia, di consapevolezza che lo sport con il pubblico, anche se per ora limitato nei numeri, rappresenta l’uscita da un incubo e il ritorno a una sempre maggiore libertà. Viviamo questi giorni come la fase  finale di un periodo da incubo. Gli atleti italiani hanno ricevuto dal presidente Mattarella la bandiera che porteranno ai Giochi Olimpici e Paralimpici. Lo sport è un’attività altamente emotiva che unisce tutti sotto il segno della nazione. Non ci sono altre attività che hanno questa connotazione così coinvolgente aldilà delle differenze politiche e sociali. Lo sport unisce non perchè sia privo di difetti, anzi ha esattamente tutti quelli che esprime la nostra società, dalle truffe al doping.

Ne abbiamo bisogno perchè lo sport è espressione di vita, della necessità di movimento di ogni essere umano, un bisogno psicologico primario. Più la nostra società diventa sedentaria e sovrappeso, maggiore è il desiderio inconscio di soddisfarci attraverso lo spettacolo che ci offrono i campioni con la loro fatica fisica, la loro destrezza sportiva e la ricerca di prestazioni eccezionali nei momenti decisivi. Possono sbagliare ma per noi saranno per sempre i nostri campioni, perchè vivono al posto nostro momenti unici che per noi sono anche solo difficili da pensare e poi, come sappiamo, non sempre si può vincere. Va bene lo stesso, lo sport è catartico, piangeremo con i nostri atleti.

Lo sport è così comunità che tiene uniti gli atleti e noi tutti, le loro gioie sono le nostre e questo vale anche per i dolori che si vivono per la sconfitta. Insomma lo sport è molto di più di un gioco, è un attivatore potente delle nostre emozioni più profonde.

Ogni giorno nell’ultimo anno abbiamo letto delle storie degli eroi della comunità, medici, infermieri e molti altri. Fra questi ci sono gli atleti che hanno dimostrato il coraggio di continuare a prepararsi per qualcosa che non si sapeva se sarebbe ritornato. Sono storie di resilienza, sacrificio e concentrazione in assenza di qualsiasi certezza per il futuro. Per questa ragione gli eventi sportivi che stanno per iniziare ci coinvolgeranno e saranno la dimostrazione che possiamo ritornare a vivere il gioco con felicità.

La gestione delle pause può determinare il risultato

In questo periodo lavoro molto con tiro a volo, tennis e tennis tavolo. Vi chiederete cosa hanno in comune: le pause tra un colpo e l’altro e tra i punti. Anche un’altra caratteristica unisce questi atleti, spesso non allenano questa fase della loro prestazione, e questo determina effetti negativi sui momenti immediatamente successivi. Non allenano la pausa perché per abitudine è considerata una fase non tecnica, quindi non è compito dell’istruttore quando si è bambini e successivamente dell’allenatore insegnare come gestirla.

La pausa è una fase di pausa, per cui non c’è niente da insegnare, magari si consiglia  di controllare la respirazione e di pensare all’azione seguente. Lo si dice a parole ma non lo si insegna.

Alcuni atleti ne capiscono l’importanza e anche per questo diventano dei campioni. La maggior parte la vive aspettando che passi, meglio se in fretta per ritornare alla gara. Infatti, questa idea “ritornare alla gara” è un altro pensiero comune fra gli atleti. Le pause rappresentano un’interruzione della prestazione e non sono parte della prestazione. Con questo non si va lontano, i fucili non si possono spaccare ma le racchette sì, costano anche molto meno. Molti atleti crescono con questa atteggiamento verso le pause, le considerano una fastidiosa parte della gara e, quindi, quando sono in agitazione o stanno perdendo accelerano questa fase per ritornare subito in gara e provare a riprendersi. Gli effetti in genere sono disastrosi e si convincono di non essere capaci a giocare, mentre invece non sanno solo gestire le pause.

Tennis: l’approccio mentale alla partita

Una delle ragioni per cui molti giovani che vogliono intraprendere la carriera tennistica invece vanno incontro a continui insuccessi risiede, a mio avviso, nelle loro aspettative eccessive e nel desiderio di volere mostrare un stile di gioco brillante che non sono in grado di sostenere. Federica Brignone, vincitrice del bronzo nel gigante a queste Olimpiadi invernali, ha detto che ciò che serve è “lavoro e forza mentale”. Al contrario restare prigionieri delle proprie aspettative e concentrarsi sul gioco brillante sono esattamente all’opposto, poiché distraggono il tennista da ciò che deve eseguire durante ogni punto.

Le aspettative - Sono distruttive. Da un lato è troppo banale ricordarsi che si vuole vincere una partita, è scontato che nessuno entra in campo con l’obiettivo di perderla. Questa idea, dovrebbe restare sullo sfondo della propria mente, se non addirittura fuori, poiché allontana il giovane dal restare concentrato solo su prossimo punto. Per un tennista giovane, la prima cosa da imparare è che esiste solo il prossimo punto da giocare e che deve prepararsi a interpretarlo in funzione del momento della partita. Pensare oltre quel punto significa togliere concentrazione determinazione al presente e metterla in futuro prossimo che non può controllare perché non esiste ancora.

Il gioco - Molti giovani si concentrano sul gioco e quando gli chiedi quante volte sono riusciti a realizzare questa loro strategia rispondono che solo poche volte sono stati in grado di seguire anche solo per la durata di un set questa impostazione. A mio avviso non ci riescono perché partono da un presupposto sbagliato. Infatti mostrare uno stile di gioco è un punto di arrivo e non di partenza, che prevede un percorso mentale che non sono ancora capaci di sostenere. Inoltre, pensare al gioco, che è un concetto astratto,  li allontana dai comportamenti che invece devono tenere in campo per mettere in difficoltà l’avversario. Quindi, in realtà pensano troppo ma in modo troppo globale e non orientato a come eseguire il punto successivo.

Roberta Vinci nella partita vinta contro Serena Williams, ha detto che il suo pensare al gioco consisteva in questo pensiero: “Corri e buttala di là”. Cosa vogliono dire queste parole?

Corri - Indica che bisogna essere rapidi e questa prontezza fisica è accesa dalla prontezza mentale, che innesca la reazione motoria. Questo comportamento lo si manifesta in ricezione quando si sta sulla parte anteriore dei piedi pronti a scattare in avanti e in quel continuo “saltellare” che i campioni hanno anche quando palleggiano. Il tennis richiede rapidità e in genere questa si perde quando si sta perdendo, si rallenta ci si deprime e si continua a sbagliare.

Buttala di là - Indica il volere giocare lungo senza correre rischi eccessivi e aspettare che l’avversario sbagli perché non tiene lo scambio o l’occasione propizia per chiudere il punto.

Questo approccio alla partita mette in luce la tenacia personale nel perseguire un obiettivo mantenendo il controllo del proprio gioco. In caso contrario il tennista può tendere a rallentare la sua azione in modo eccessivo oppure ad accelerare il gioco, cercando colpi brillanti per chiudere rapidamente il punto.

Quindi la partita è una continua successione fra questi momenti:

  1. essere rapidi per
  2. giungere a colpire con efficacia la palla che
  3. deve essere profonda e
  4. scambiare almeno 4/5 volte per costruirsi il punto, e
  5. servirsi delle pause per scaricare la tensione e
  6. rifocalizzarsi sul prossimo scambio per
  7. essere subito rapidi per …

 

Position statement sul gioco attivo all’aperto

Un gruppo intersettoriale di partner, stakeholder e ricercatori, hanno collaborato per sviluppare un Position Statement basato su prove sul gioco attivo all’aperto nei bambini di età compresa tra 3-12 anni. Il Position Statement è stato realizzato per rispondere al professionista, all’accademico, al legale, all’assicurazione e al dibattito pubblico in relazione al dialogo e al disaccordo sui benefici e i rischi del gioco attivo all’aperto. Il processo di sviluppo del Position Statement è stato basato su due revisioni sistematiche, una valutazione critica della letteratura corrente e i position statement esistenti, con l’impegno di studiosi esperti (N = 9) e cross-settoriale individui / organizzazioni (N = 17), e un processo estensivo di consultazione degli stakeholder (N = 1908). Più del 95% dei soggetti intervistati sono stati molto o abbastanza d’accordo con il Position Statement; 14/17 individui /organizzazioni lo hanno approvate, e oltre 1000 persone e organizzazioni hanno accettato che il loro nome fosse inserito nell’elenco dei sostenitori. Il Position Statement finale sul gioco attivo all’aperto afferma: “L’accesso al gioco attivo nella natura e all’aria aperta, con i suoi rischi, è essenziale per lo sviluppo sano del bambino. Si consiglia di aumentare le opportunità dei bambini per il gioco auto-diretto all’aperto in ogni situazione – a casa, a scuola, nell’assistenza dei bambini, all’interno della comunità e nella natura. “Il Position Statement fornisce il contesto per l’istruzione, le evidenze scientifiche a sostegno, e una serie di raccomandazioni per aumentare le opportunità di gioco attivo all’aperto per promuovere lo sviluppo sano del bambino.

(di Mark S. Tremblay e colleghi, Int. J. Environ. Res. Public Health 201512(6), 6475-6505)

La gestione delle pause di gioco nel tennis

Stabilito che nel tennis le pause tra un punto e l’altro sono parte della prestazione.

Perché non viene insegnato a gestirle così come viene fatto per il gioco?

In inglese si chiama “the 16 second cure”

Consiste in 4 fasi:

  • Risposta fisica positiva – 3/4 secondi fine punto – andare fondo campo, passi decisi, espressione viso neutra e gesto d’incitamento
  • Rilassamento – 5/6 secondi – spalle al campo, rilassamento, sguardo su corde racchetta
  • Preparazione – 4/5 secondi – ritornare linea di fondo, ripetizione mentale servizio o risposta
  • Rituale – 4/5 secondi rituale di preparazione, pronti  servire o rispondere
Quando farlo: sempre!

 

Nel tennis è facile trattarsi male

Il tennis m’insegna ogni giorno quanto sia facile trattarsi male per i giocatori che sono all’inizio di un percorso professionale.  Sono questi giovani, ragazzi e ragazze, di 18-21 anni che pur avendo qualità di gioco e forma fisica non riescono ad accettare gli errori, sono insicuri in campo e negativi con se stessi. In altre parole non sono tennisti abituati ad affrontare gli errori e le difficoltà come ostacoli normali e quotidiani e soprattutto non si divertono perché per loro è un’esperienza pesante e problematica. Nella mia esperienza sono molti di più i giovani che di fronte a queste difficoltà le subiscono e cedono piuttosto che tentare di padroneggiarle. L’unico modo per cambiare questa situazione è quello di iniziare a insegnare a gestire le proprie emozioni e i pensieri in campo. A questo riguardo un aspetto importante da insegnare consiste nella gestione della pause di gioco. I tennisti devono acquisire un sistema che gli permetta di recuperare dalla stanchezza fisica e mentale, subito dopo, di mettersi nella condizione migliore per iniziare un nuovo scambio. Questo approccio al gioco andrebbe allenato quotidianamente. Bisogna sapere che la componente tecnica e atletica del tennis vanno allenate insieme a quella mentale e che non vi è uno scambio di gioco in cui tutte e tre non siano presenti.

Chi vuole saperne di più mi può contattare per mail e riceverà in breve tempo una risposta.

Continuità del gioco e combattività: due problemi delle squadre di calcio

I recenti risultati altalenanti di molte squadre di calcio (Roma, Inter, Napoli e Milan) sono attribuili anche a carenze mentali. In particolare, combattività e continuità di gioco mi sembrano due problemi di cui sono vittime queste squadre di calcio. Continuità del gioco significa sapere cosa bisogna fare e farlo. Questo anche nei momenti negativi di gioco o quando si è messi sotto pressione dall’altra squadra. In queste situazioni si deve pensare: “Questo è il mio compito e devo tornare a farlo.” Nei momenti di difficoltà ogni giocatore deve tornare agli elementi di base della sua prestazione, deve impegnarsi nel fare le cose semplici con la consapevolezza che in questo modo gli avversari avvertiranno questa sua determinazione e anche loro potranno sentirsi sotto pressione per non riuscire a realizzare il gioco che vogliono. Giocare con continuità è strettamente associato alla combattività, che è l’atteggiamento che ogni giocare deve mostrare quando è in campo. Combattività e continuità di gioco devono, quindi, essere sempre presenti indipendentemente dal livello tecnico-tattico della squadra, perché determinano l’atteggiamento con cui ogni squadra deve affrontare la partita. Rinunciare ad avere questo modo di giocare o mostrarlo in modo intermittente è a mio avviso uno dei principali errori mentali che ogni allenatore dovrebbe insegnare a evitare.