Dall’articolo di Enrico Sisti “Le lacrime di Iniesta e l’arte di sapere smettere“.
“Smettere è un’esperienza esistenziale che può arrivare in qualunque momento”, spiega Alberto Cei, psicologo dello sport, “c’è chi smette e non può star comunque fermo anche in età avanzata e questa è una conquista recente perché sappiamo bene tutti che fino a 50 anni fa l’attività agonistica oltre i 35 anni non esisteva”.
“L’approccio umanistico è importante, l’atleta-uguale-prestazione come concetto non basta ma è quello che pensano un po’ tutti, c’è un 50% nascosto dietro l’atleta che si chiama persona, nell’arte e negli altri campi è accettato ma per l’atleta, soprattutto di alto livello, prevale una visione meccanicistica che non tiene conto dell’essere umano, del valore, nel senso più alto del termine, che questo lavoro, il lavoro dell’atleta, ha per gli uomini che diventano atleti. Sono esperienze totalizzanti, a volte drammatiche, estreme. E lasciare è spesso fonte di grande disagio”.
“Le debolezze dell’atleta, prendiamo la testata di Zidane, o il farsi le scarpe, non sono previste, è come se l’atleta fosse un dio, esattamente, cioè meno umano degli altri. Un passaggio così importante, come lo smettere o di cambiare strada in modo radicale come ha fatto Iniesta, svela l’aspetto umano, diventa cruciale”.
“Si può continuare a fare tutto”, prosegue Cei, “non è necessario per forza lasciare, la dimensione esistenziale importante è che nel tempo un’attività sportiva deve diventare un conoscere meglio se stessi, senza farsi la guerra. I fisiologi si chiedono: ma perché tutti gli animali invecchiando dormono sempre di più? L’uomo va un po’ alla rovescia. Noi continuiamo a muoverci, abbiamo delle aspirazioni. Bisogna rendere complementari la motivazione e l’adeguamento degli sforzi al tempo che passa”.
Ma è meglio finire al top o con un lungo tramonto? “Meglio finire al top”. Come Platini e Borg? “Se non c’è la comprensione del tempo fisico e passione rischiano di collidere, in quel caso continuare si può trasformare in un suicidio agonistico e psicologico, finisci per diventare un perdente, perennemente insoddisfatto. Non vince chi vince, ma vince chi si adatta, che poi è un modo di rispettare le regole della biologia”.