Noi che crediamo nell’infallibilità del corpo e nella forza della mente siamo schiacciati dall’incidente di Schumacher e dalla sua condizione di stare lottando per mantenersi in vita. Non è certo la prima volta che questa nostra convinzione viene messa alla prova, E’ già successo centinaia di volte nel passato ma ogni volta ci convinciamo che non si ripeterà di nuovo e invece puntualmente ecco un nuova vittima. Non c’è niente di così pericoloso come coltivare la propria invincibilità, perchè viene sempre quel giorno in cui si supera quella linea che divide il rischio accettabile da quello inaccettabile e allora è finita. A un certo punto bisogna esplorare altri ambiti, diversi da quelli del rischio fisico, altrimenti è solo questione di tempo, si deve uscire dal campo in cui il rischio fisico è il motore principale della nostra vita e scegliere un altro ambito di rischio, magari più mentale ma certamente non meno entusiasmante se si accetta questa logica. Bisogna sapere che prima o poi il fisico chiederà il conto e purtroppo può essere molto salato come la vicenda di Schumacher c’insegna.
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Aspettarsi di fare una grande prestazione è ciò che di peggio possa pensare un atleta. Le aspettative devono essere parte dell’autocontrollo che un atleta deve avere su se stesso. L’unica aspettativa consentita è di sapere che bisogna impegnarsi al massimo ma quando si comincia si deve mettere da parte ogni idea di risultato e lottare in ogni istante della gara, passo dopo passo, tiro dopo tiro, centimetro dopo centimetro, secondo dopo secondo. Non c’è null’altro oltre questo e chi non è allenato a questo resta indietro.
Napoli e Chelsea è stata una bella partita per noi spettatori. Una partita vera in cui le squadre hanno lottato talvolta anche al limite del regolamento o sfruttando la furbaggine di alcuni nel cadere a terra quando serviva (vedi Drogba). I calciatori hanno giocato palla su palla senza mai risparmiarsi o dimostrare di avere paura degli avversari. La differenza a mio avviso è consistita nella maggiore freddezza del Chelsea nelle conclusioni che hanno determinato le quattro reti. Infatti, non bisogna farsi ingannare dal numero di goal messi a segno, non è stata una goleada, poichè le reti sono state segnate a molta distanza le une dalle altre, a dimostrazione che non vi sono stati momenti di calo fisico o mentale del Napoli tali da determinare una evidente supremazia dall’avversario. Questa situazione non si è realizzata. Le squadre hanno giocato alla pari, il Chelsea però è stato più abile nel chiudere il risultato. Peccato per il Napoli.
Imparare da Agassi perchè dalla sua autobiografia “Open”, uscita circa 2 anni fa, si possono trarre molte idee su uno dei tanti modi in cui si è campioni. I temi principali sono diversi: il rapporto padre-figlio, quello con la squadra con cui lavora, l’odio per il tennis e l’impossibilità di abbandonarlo, l’amore, la consapevolezza della propria esistenza e la necessità di viverla fino in fondo. E’ un libro complesso perchè complessa e piena di contraddizioni è la vita. E’ una storia da leggere per capire l’esistenza di un giovane che non può che fare “quella cosa lì.” I ragionamenti durante i match sono impressionanti, Agassi sa con notevole anticipo quando sta per vincere o perdere e ciò accade con regolarità. Appare evidente che è la mente a guidare la propria esistenza e che la lotta consiste nel metterla in condizioni di fargli raggiungere il successo, con l’aiuto grande e indispensabile dei suoi mentori e dei suoi amori. La storia ha un lieto fine, perchè con Steffi Graf trova una compagna giusta per lui e viceversa. I due figli che hanno non giocano a tennis. Non è la descrizione di come vivono i campioni ma è come uno di loro ha vissuto questa esperienza. E’ un esempio di come si convive con i propri mostri interiori e di come ci si rialza dopo le sconfitte. Leggerlo arricchisce e permette di capire come la vita di un atleta sia e non possa altro che essere una lotta continua contro quelle parti di sè che si ribellano a questa condizione e che preferirrebero il lasciarsi andare e il rinunciare. Infatti, reagire significa combattere contro questo stato mentale che, riempiendo di odio quello che viene fatto, ha lo scopo di portare l’atleta all’autodistruzione. Questo è ciò che non fatto Agassi che è stato uno dei tennisti più longevi e di successo.