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Le montagne sono lì indifferenti a noi

 


 

Pensieri per questi giorni: sentirsi uniti

I pensieri degli atleti ci possono essere utili per continuare a riflettere in questi giorni sulla nostra esperienza quotidiana. Pensare è utile per mantenere una mentalità orientata alla realtà non distruttiva o fatalista e neanche ottimista in modo superficiale. Queste interviste riguardano atleti che praticano la corsa in montagna e dimostrano l’importanza di sentirsi uniti, orientati verso il futuro seguendo le regole del presente. Si può leggere tutto il testo su World Mountain Running Association

“Con l’attuale crisi della COVID-19 che ha avuto un tale effetto sulle gare e sui corridori in tutto il mondo, abbiamo voluto raggiungere gli atleti di diversi paesi per vedere come sono stati colpiti e come stanno affrontando la situazione. Molti atleti nei paesi più colpiti, come l’Italia e la Spagna, sono molto limitati nella capacità di correre, mentre per altri le restrizioni principali sono la mancanza di allenamento di gruppo e ovviamente la mancanza di gare. Ma ovunque si trovassero gli atleti con cui abbiamo parlato, ciò che li ha uniti tutti è stata la sensazione che questa crisi serva a riflettere sul valore della corsa e che la supereremo tirandoci insieme e guardandoci le spalle a vicenda.

Francesco Puppi sente che è il momento di riflettere: “Ci manca davvero la routine di cui ci lamentiamo continuamente e che il virus ci costringe a ripensare? Quanto ci mancano gli amici, i parenti, le persone, in una società dove la nostra rete di relazioni si svolge in una piazza virtuale, dove le nostre connessioni ci danno l’illusione di un contatto umano, di un abbraccio? Il silenzio mi aiuterà a rispondere a queste domande che continuo a pormi”.

E se avevate l’obiettivo di una gara in particolare ed è stata annullata? I social media sono pieni di corridori arrabbiati che hanno visto cancellato le loro gare, ma gli atleti con cui abbiamo parlato hanno una visione molto più positiva della situazione. “Allenarmi ogni giorno fa parte del mio stile di vita ormai da 20 anni (wow, sto diventando vecchio!), quindi a prescindere dalle corse mi dedicherei ad allenarmi e ad allenarmi. Ciò che mi mantiene positivo è sapere che tutto il mio duro lavoro non è inutile. Quando arriva il momento di correre, puoi farlo con fiducia perché ti è stata data l’opportunità di concentrarti sull’allenamento in modo da essere il più preparato possibile. Pensate a questo tempo come a un semplice deposito in banca; forse non lo usate adesso, ma sicuramente vi sarà utile più tardi, quando farete il deposito, in autunno o l’anno prossimo”, dice Maria Dalzot.

Anche la stagione primaverile di Francesco Puppi (compresa la maratona di Rotterdam) è stata capovolta, ma lui è filosofico al riguardo: “non significa che tutto il lavoro che ho fatto sia stato sprecato. Sono ancora orgoglioso di quello che sono riuscito a fare, del grande sforzo che ho fatto in quelle settimane di 110 miglia, delle gambe doloranti, dei lunghi allenamenti. Dei miglioramenti e delle battute d’arresto che ho sperimentato in questo viaggio. Si tratta solo di ripensare ai nostri obiettivi. Continuare a correre perché questo è ciò che amiamo e ci fa stare bene, anche nelle situazioni peggiori. Questa dovrebbe essere la ragione principale”.

Max King vede le cancellazioni di gara come un’opportunità per fare altre cose: “Guardo al lato positivo della cancellazione di alcune gare per poter affrontare altri progetti, o per avere una buona base solida di allenamento per la stagione estiva delle gare, se riusciremo ad averla. Ci sono tanti modi per essere positivi e guardare al lato positivo quando una gara viene annullata. Certo, è un peccato, ma ci saranno presto altre opportunità”.

Ma come direttore di gara (della Bend Marathon recentemente annullata) chiede anche ai corridori la loro comprensione in questi tempi difficili: “La gente non capisce quanto sia difficile per un direttore di gara. Non ci viene data la possibilità di scegliere se annullare la gara e non sempre è possibile restituire i soldi a tutti e poter fare una gara l’anno prossimo. Siamo piccoli imprenditori per la maggior parte del tempo e abbiamo lavorato tutto l’anno per portare ai corridori un’esperienza unica. Non è come se tutto il lavoro e le spese fossero in un solo fine settimana. Credo che la gente debba capirlo”.

La risposta schiacciante che abbiamo ricevuto dai corridori che abbiamo contattato la dice lunga sulla nostra comunità. Nancy Hobbs sottolinea che dobbiamo guardarci le spalle a vicenda in questo momento difficile. “Una delle cose più importanti è fare il check-in con i propri amici corridori, è fondamentale sostenersi a vicenda”. Andrew Douglas avverte che “può essere facile diventare troppo ansiosi guardando i vostri feed dei social media con il volume di post sul coronavirus; così cerco di fare uno sforzo consapevole per limitare il mio accesso”. Prenderci cura di noi stessi e dell’altro ci aiuterà a superare tutto questo”.

Oscar a “Free Solo”

Alex Honnold salendo in free solo El Capitan ha compiuto l’impresa di rendere possibile una scalata impossibile. Elizabeth Chai e Jimmy Chin con la loro camera hanno reso possibile l’impresa impossibile di far vincere un Oscar ad un film di arrampicata.

Free Solo è un film che ci aspettiamo di vedere nei Festival di settore, ma che invece piace e piace a tutti, non solo agli appassionati e le sale sold out in tutto il mondo lo dimostrano.

La ricetta del successo è semplice e basata su pochi ingredienti.

C’è una grande impresa facilmente comprensibile anche a chi di arrampicata non sa nulla: non c’è bisogno di competenze tecniche, di sapere cosa sia un grado di difficoltà per capire che salire senza alcuna protezione una parete di 1000 metri è una cosa incredibile, fuori dal mondo.

C’è una grande carica emotiva che attanaglia dall’inizio alla fine come nei più grandi thriller. La cosa assurda è che sei lì, seduto sulla poltroncina, con fiato interrotto e la paura che Honnold possa cedere da un momento all’altro, quando lo sai benissimo come finirà, ma malgrado questo non respiri comunque.

C’è un grande protagonista: Alex Honnold ha la faccia simpatica e ha una forte carica umana nel suo essere inumano in quello che fa. E poi c’è sempre quel dubbio, nonostante lui spieghi con precisione che quello che fa è solo frutto di un duro lavoro, che in fondo sia solo un pazzo.

C’è un grande lavoro sulle immagini che sono spettacolari e bellissime grazie alla bravura di Jimmy Chin ed Elizabeth Chai.

Infine, c’è un grande insegnamento, che è quello di avere coraggio e che è possibile credere nell’impossibile.

Ed allora non resta che dire grazie ad Alex Honnold, a Jimmy Chin ed Elizabeth Chai. Grazie per aver portato l’arrampicata nell’olimpo del cinema. Grazie per aver dimostrato, ancora, che si può rendere possibile l’impossibile. Grazie”.

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La danza sui teli appesa tra due cime

Il mental coaching per l’ultramaratona di Lizzy Hawker

In previsione dell’ultramaratona del Passatore, l’ntervista a Lizzy Hawker, cinque volte vincitrice dell’Ultra Maratona del Monte Bianco ed è stata dentrice del record del mondo della 24 ore di corsa. (da The Guardian)

Cosa pensi ti fa correre bene l’ultramaratona? Hai qualcosa di diverso – o sei riuscita a connetterti a qualcosa che ognuno ha dentro di sé? La resistenza mi viene proprio naturale. E ‘sempre stato un modo di vivere – da prima di gareggiare e di correre le lunghe distanze. Anche quando ero un bambino ho preferito andare a piedi piuttosto che prendere l’autobus – in bici piuttosto che in auto. E ‘sempre stato lì. Questo è probabilmente diverso per la maggior parte delle persone. Nello sport ultra e di resistenza il lato mentale è davvero molto importante, e questo è anche parte di ciò che sono. Credo che siamo tutti alla ricerca di qualcosa nella vita – trovo qualcosa attraverso la corsa.

Qual è la cosa migliore per te della corsa? Penso proprio che sia il movimento – ma sotto il mio potere – e, naturalmente, mi piace la montagna. L’amore per la corsa è un po ‘diverso da quello, perché io corro ovunque mi trovi, che si tratti di asfalto o pista. Forse è il movimento fisico … e la libertà mentale.

Se qualcuno ti chiede un suggerimento, che dici?
Nelle lunghe distanze, è davvero quello di stare nel momento. Se lo puoi fare, e hanno la fiducia di correre una lunga distanza, allora i nostri limiti non sono mai dove pensiamo che siano. Ti rendi conto che si può andare al di là di quello che si pensava fosse possibile.

Quando si corrono queste enormi distanze si deve affrontare più volte ‘il muro’. Come si fa ad affrontarlo? Penso che sia questione di sapere che ci saranno momenti in cui ci si sente bene e ci saranno momenti in cui ti senti davvero, davvero non bene. E ‘una di quelle verità sulla vita – che niente dura, tutto è impermanente – quindi è solo sapendo che questi momenti negativi stanno per passare e si arriverà dall’altra parte e bisogna credere che sarà così.

Se ti trovi sulla linea di partenza di una gara di 24 ore è quasi inconcepibil pensare a quanto tempo sarai in movimento. Devi prendere momento per momento. E’ lo stesso in una gara di 100 miglia – se pensi al traguardo e sei solo all’inizio allora probabilmente non arriverai alla fine – ma se si prende passo dopo passo, tappa dopo tappa, poi ti rendi conto che è effettivamente possibile correre così lontano. Se ho una strategia di gara è solo per eseguire il meglio che posso, in qualsiasi punto della gara.

L’incredibile storia degli Sherpa

Ogni anno, oltre un migliaio di scalatori cercano di raggiungere la vetta dell’Everest, con il record annuale che è di 633 successi. Ma di quel numero, quasi la metà sono Sherpa – eroi non celebrati della montagna. Ciò nonostante la vita della comunità Sherpa non è ancora oggi conosciuta, cultura e esperienze che vivono all’ombra della montagna più alta del mondo. Ora, per la prima volta, aprono la porta nel loro mondo grazie a questo film della BBC

Senza l’esperienza degli sherpa, solo gli alpinisti più resistenti e più abili avrebbero avuto successo. Ogni giorno rischiano la vita per la sicurezza degli altri, eppure non cercano né gloria, né ricompensa. Seguendo le storie di quattro sherpa – Phurba, Ngima, Ngima Tenji e Gelu – questo film rivela la realtà della loro vita quotidiana, non solo in montagna, ma con le loro famiglie dopo il loro ritorno a casa.

Morire per sport

Ogni estate ritornano gli incidenti in montagna e al mare ed è di questi giorni la notizia dei sub morti nella grotta di Portofino. Spesso la spiegazione a questi eventi risiede nell’imperizia delle persone a sapere valutare le difficoltà a cui vanno incontro in rapporto alla loro abilità. A mio avviso questo limite deriva da quattro fattori specifici.
Il primo. La maggior parte di queste persone vive in città e ha un rapporto episodico con la natura, sia essa il mare o la montagna. Non hanno quindi un rapporto costante e continuativo con gli eventi naturali e ritengono che l’avere imparato in una piscina come comportarsi, li metta nella condizione di sapere affrontare le condizioni imposte dal mare. Questa mancanza di consapevolezza delle regole della natura, li espone a correre dei rischi a cui sono totalmente impreparati.
Il secondo. L a stessa attività subacquea può essere una piacevole passeggiata se si svolge in una situazione ottimale o può trasformarsi in un grande problema se le condizioni del mare sono diverse da quelle previste. La consapevolezza di queste due opzioni è indispensabile per prevenire gli incidenti e per valutare quanto è sicuro continuare l’immersione o si debba tornare indietro. Molti incidenti avvengono a causa di questa volontà a volere perseguire a tutti costi il proprio desiderio. Le persone dovrebbero allenare di più la loro capacità a eseguire analisi realistiche e a decidere solo questa base, senza lasciarsi guidare dai loro sogni di avventura.
Il terzo. Lo chiamerei “il peccato del turista in cerca di avventure” e consiste nel dovere fare per forza quella immersione perché si è in vacanza e si ha poco tempo a disposizione o perché ci si prepara da tanto tempo e quindi non si vuole rinunciare. La natura c’impone regole diverse, non è come vivere in città in cui anche con il cattivo si può uscire senza correre alcun pericolo. Comunque anche in caso di incidente, in città si è soccorsi immediatamente e una caduta non determina conseguenze mortali, mentre in mare o in montagna può essere letale e comunque il soccorso è difficile e può mettere a rischio la vita stessa dei soccorritori.
Il quarto. Spesso queste attività vengono svolte in compagnia di altre persone e in gruppo si tende a correre più rischi rispetto a quando la stessa impresa viene svolta da soli. Nel gruppo si diventa più sicuri e spavaldi, si tende a nascondere i propri timori e, vicendevolmente, si fa leva sulla apparente sicurezza dei compagni. Quando questa situazione si verifica è più facile che non si prendano le precauzioni necessarie a evitare di trovarsi in difficoltà.
In conclusione, chi vuole svolgere attività in contesti naturali deve essere consapevole delle regole di questo mondo e sapere che ritornare alla base è il migliore atto di coraggio che una persona può compiere in situazioni ambientali difficili. Leggi l’intervista su: http://www.uisp.it/nazionale/index.php?contentId=1630