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Baena-Morales, S., Garcia-Taibo, O., Baena-Extremera, A., Tomás González-Fernández, F. (2023). Physical exercise in natural environments and its influence on directed attention. Education implication. A systematic review. International Journal of Sport Psychology, 54(2), 152-174.
Esistono prove sufficienti per confermare che la pratica dell’attività fisica migliora le prestazioni cognitive ed emotive. Questa idea è anche legata all’attuale tendenza dell’UNESCO di stabilire connessioni con gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) e le azioni educative. Inoltre, il rapporto degli umani con la natura sembra produrre un miglioramento in diverse variabili cognitive e, in particolare, nell’orientamento dell’attenzione. La semplice presenza dell’essere umano nella natura produce benefici psicologici, di benessere e sull’attenzione. Tuttavia, ci sono poche ricerche sull’effetto sinergico dell’esercizio fisico in ambienti naturali e su come questo influisca sull’attenzione direzionata, come variabile determinante per il rendimento scolastico. L’obiettivo principale è mostrare l’effetto dell’esercizio fisico in ambienti naturali sull’attenzione diretta rispetto a quello svolto in ambienti urbani o edificati. La presente revisione sistematica ha analizzato gli studi che hanno valutato le prestazioni dell’attenzione diretta quando è stato praticato l’esercizio fisico in ambienti naturali. È stata eseguita una revisione sistematica dei database PUBMED, SCOPUS, SPORTDiscus e Web of Science secondo le linee guida Preferred Reporting Items for Systematic Reviews and Meta-Analyses (PRISMA). Dodici studi hanno soddisfatto i criteri di inclusione della revisione. La maggior parte di questi studi era costituita da studi crossover o controllati che indagavano gli effetti dell’esposizione a breve termine in ambienti naturali durante l’esercizio fisico. Non c’è consenso sui benefici dell’esercizio fisico in ambienti naturali per l’attenzione diretta. Gli studi forniscono basi teoriche che potrebbero spiegare alcuni dei potenziali benefici. Tuttavia, sono necessarie ricerche più rigorose per controllare le variabili che possono influenzare il miglioramento dell’attenzione diretta.
Negli ultimi 20 anni, l’infanzia si è spostata negli spazi al chiuso. Mediamente negli US bambini e bambine spendono solo 30 minuti al giorno in attività all’aperto e non strutturate dagli adulti ma più di sette ore al giorno di fronte a uno schermo. Questo cambiamento ha determinato un profondo cambiamento nel loro benessere: maggiore obesità e maggiore uso di antidepressivi. Sempre più i giovani non sono in forma e sono negativamente stressati. Ciò anche a causa della perdita di qualcosa di essenziale per lo sviluppo e la salute, e che consiste nel vivere all’aria aperta. In generale, si auspica che i bambini trascorrano almeno un’ora al giorno all’aria aperta in attività in cui abbiamo totale autonomia espressiva.
In famiglia (quale essa sia per voi) siete dei camminatori nella natura (nature walker)? Le persone che si vivono in questo modo hanno una percezione di se stessi in cui la componente fisica e ambientale è rilevante e questa loro identità è un predittore significativo di come si comporteranno in futuro. Pertanto sviluppando una forte percezione di amanti della natura (diremmo noi in italiano) svilupperemo una altrettanto intensa motivazione a continuare a stare a contatto con la natura e a rispettarla. Chi ha figli può insegnare loro questo piacere, sapendo che una volta che questo atteggiamento sarà stato da loro interiorizzato continuerà a essere presente anche da adulti.
Il tema dello sviluppo del bambino attraverso la vita all’aria aperta, la conoscenza della natura e di come viverla è trattato nel nuovo libro “A piedi nudi nel parco” di Anna Oliverio Ferraris e Albertina Oliverio. Fa piacere che anche il mondo accademico ponga questo tema al centro dell’attenzione e che non sia demandato solo a chi si occupa di psicologia dello sport. Se si riuscisse a creare anche da noi un movimento di opinione a favore del recupero della intelligenza motoria e del suo sviluppo non solo attraverso lo sport ma grazie a un più frequente contatto con la natura, si potrebbe orientare la politica delle organizzazioni sportive di ogni tipo (dalle federazioni sportive a quelle dello sport per tutti) a valorizzare e fare praticare questo tipo di esperienza. Anche per i genitori dei bambini una vita più all’aria aperta sarebbe certamente un valore positivo da aggiungere alla loro esistenza. Oltretutto lo stare su un prato è ancora gratuito.
Ogni estate ritornano gli incidenti in montagna e al mare ed è di questi giorni la notizia dei sub morti nella grotta di Portofino. Spesso la spiegazione a questi eventi risiede nell’imperizia delle persone a sapere valutare le difficoltà a cui vanno incontro in rapporto alla loro abilità. A mio avviso questo limite deriva da quattro fattori specifici.
Il primo. La maggior parte di queste persone vive in città e ha un rapporto episodico con la natura, sia essa il mare o la montagna. Non hanno quindi un rapporto costante e continuativo con gli eventi naturali e ritengono che l’avere imparato in una piscina come comportarsi, li metta nella condizione di sapere affrontare le condizioni imposte dal mare. Questa mancanza di consapevolezza delle regole della natura, li espone a correre dei rischi a cui sono totalmente impreparati.
Il secondo. L a stessa attività subacquea può essere una piacevole passeggiata se si svolge in una situazione ottimale o può trasformarsi in un grande problema se le condizioni del mare sono diverse da quelle previste. La consapevolezza di queste due opzioni è indispensabile per prevenire gli incidenti e per valutare quanto è sicuro continuare l’immersione o si debba tornare indietro. Molti incidenti avvengono a causa di questa volontà a volere perseguire a tutti costi il proprio desiderio. Le persone dovrebbero allenare di più la loro capacità a eseguire analisi realistiche e a decidere solo questa base, senza lasciarsi guidare dai loro sogni di avventura.
Il terzo. Lo chiamerei “il peccato del turista in cerca di avventure” e consiste nel dovere fare per forza quella immersione perché si è in vacanza e si ha poco tempo a disposizione o perché ci si prepara da tanto tempo e quindi non si vuole rinunciare. La natura c’impone regole diverse, non è come vivere in città in cui anche con il cattivo si può uscire senza correre alcun pericolo. Comunque anche in caso di incidente, in città si è soccorsi immediatamente e una caduta non determina conseguenze mortali, mentre in mare o in montagna può essere letale e comunque il soccorso è difficile e può mettere a rischio la vita stessa dei soccorritori.
Il quarto. Spesso queste attività vengono svolte in compagnia di altre persone e in gruppo si tende a correre più rischi rispetto a quando la stessa impresa viene svolta da soli. Nel gruppo si diventa più sicuri e spavaldi, si tende a nascondere i propri timori e, vicendevolmente, si fa leva sulla apparente sicurezza dei compagni. Quando questa situazione si verifica è più facile che non si prendano le precauzioni necessarie a evitare di trovarsi in difficoltà.
In conclusione, chi vuole svolgere attività in contesti naturali deve essere consapevole delle regole di questo mondo e sapere che ritornare alla base è il migliore atto di coraggio che una persona può compiere in situazioni ambientali difficili. Leggi l’intervista su: http://www.uisp.it/nazionale/index.php?contentId=1630