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Calcio: sport di campioni o di squadra

In tanti scrivono di calcio in questi giorni del mondiale in Qatar alla ricerca di azioni eccezionali. Mi sembra che spesso si parli più dei singoli, anche se campioni, piuttosto che delle squadre. Si legge che Ronaldo è vecchio ma per fortuna ci sono altri che segnano al posto suo, di Mbappé ha già vinto tutto alla sua età, ci si domanda se Messi si prenderà l’Argentina sulle spalle. Si parla poco delle squadre, di ciò che le rende forti e delle loro debolezze.

Si dice spesso che 11 campioni non fanno una squadra ma poi nei commenti si dimostra il contrario e si rivendica che senza campioni non si può vincere. Aveva certamente ragione Boniperti nel dire che l’unica cosa che conta è vincere. Tuttavia, se si vive la partita con questa mentalità si bada troppo al risultato finale e si rischia di perdere di vista la strada che serve per raggiungere questo risultato.

Mi piacerebbe leggere commenti alle partite di questo mondiale, che parlino della strada che una squadra ha percorso in partita per vincere  e non solo della bella azione e del tiro stupendo di tizio. Di come le squadre dimostrano di essere unite in campo. Soprattutto di come le squadre lottano e dimostrano di non arrendersi mai non solo agli avversari ma anche ai momenti negativi che vi sono in ogni partita, come passano da momenti negativi a quelli positivi, da fasi in cui subiscono a quelle in cui sono propositive.

Altrimenti è solo cronaca.

Anche la mente dei calciatori “può infortunarsi” per le troppe partite

Il presidente dell’Associazione Italiana Medici del Calcio, Enrico Castellacci, conferma quanto dichiarato da Pep Gurdiola sulla salute dei calciatori: “”Parliamo del benessere dei giocatori, ma il nostro è l’unico campionato che non accetta le cinque sostituzioni. Ne abbiamo solo tre. Come mai? Sarebbe molto meglio per tutti, considerato il numero di partite che giochiamo. Ma la Premier League e alcuni club hanno deciso di non farlo”. E Castellacci ribadisce che ”così il fisico dei calciatori non regge e aumentano gli infortuni. O cambia la mentalità o aumentano le rose ma sappiamo che gli allenatori fanno giocare sempre i più forti”.

A queste corrette osservazioni vorrei aggiungere che il giocare troppe partite non comporta solo il logoramento fisico ma anche quello mentale. Scontato ma viene ricordato molto meno, forse perchè gli avvertimenti del corpo sono più immediatamente evidenti (infortunio e conseguente impossibilità di giocare) mentre quelli mentali lo sono di meno, tranne poi quando si manifestano in forma di psicopatologia.

Samuele Marcora e colleghi in un articolo del 2009 ci ricordavano che anche le scienze dello sport non hanno trattato questo tema sino agli ultimi anni.

“La fatica mentale è uno stato psicobiologico causato da periodi prolungati di attività cognitiva impegnativa e caratterizzato da sensazioni soggettive di “stanchezza” e “mancanza di energia”. Gli effetti della fatica mentale sulle prestazioni cognitive e sulle prestazioni di piloti e piloti d’aereo sono stati ampiamente studiati. Un numero crescente di studi sta anche rivelando le alterazioni neurali causate da periodi prolungati di attività cognitiva impegnativa in persone in sane e malate. Al contrario, l’impatto della fatica mentale sulle prestazioni fisiche rimane in gran parte sconosciuto. Per quanto ne sappiamo, le uniche osservazioni pubblicate risalgono al 1891 quando Angelo Mosso riportò nel suo libro sulla fatica che la resistenza muscolare era ridotta in due professori di fisiologia dopo lunghe lezioni ed esami orali”.

Negli ultimi 10 anni la fatica mentale è stata studiata e le imitazioni sulla prestazione sportiva sono molto più conosciute. Dovremmo fare di più per inserire nei programmi di recupero fisico anche interventi che favoriscano il recupero mentale dei calciatori.

Il recupero è uno dei fattori di successo

Negli sport di squadra i giocatori gareggiano molte, spesso troppe partite, e sono spesso in viaggio. Questo vale per le squadre europee nei vari sport così come per le squadre americane che giocano spesso ogni tre giorni. Questo è quanto emerge dalla prima giornata di “International week of sport psychology” che si tiene a Parigi presso l’INSEP. A questo il recupero fisico e mentale diventa una priorità per non avere in campo giocatori stanchi o assenti. Diventa quindi importante che le squadre siano in grado di acquisire quegli strument psicologici che consentono di disattivare la mente dal gioco e recuperare attraverso l’uso di tecniche di rilassamento. Pochissime squadre nel mondo professionistico ha creato un ambiente nel loro centro sportivo, la mind room, dove i giocatori possono svolgere questa attività di recupero mentale. E’ importante che i dirigenti e gli allenatori prendano una maggiore consapevolezza di questa necessità e non pensino che la soluzione sia solo nell’acquisto di un numero sempre maggiore di giocatori così da potere effettuare un turn over efficace.

Tre giorni per recuperare lo stress della partita

Il calendario del campionato europeo di calcio rispetta la regola dei tre giorni di riposo tra una partita e l’altra. Questo è infatti il tempo necessario ai calciatori per recuperare la fatica della partita. Sono risultati che emergono dall’analisi dei match della scorsa stagione effettuata dall’allenatore olandese Raymond Verheijen, che ha studiato questo fenomeno in sette paesi per 10 stagioni. Con un recupero più breve la maggior parte delle squadre segna meno reti, ne subisce di più, perde più partite e s’incrementa la probabilità d’infortunio. Solo il campionato portoghese ha preso in considerazione la questione e ha spostato le partite al venerdì e al lunedì. A conferma della validità di questa scelta, le squadre portoghesi sono le uniche in Europa a non avere subito questo tipo di difficoltà. Quando sentiremo parlare di questo anche da noi? Anziché sempre sterilmente chiedersi il perché di tanti infortuni? Leggi: http://worldfootballacademy.com/wp-content/uploads/2012/05/WFA_Study-on-recovery-days.pdf

E’ il momentum delle partite decisive

Siamo alla fine del campionato e lo si nota anche dalle parole degli allenatori che sono sempre più di carattere assoluto: “Lo scudetto non deve sfuggirci”, “Nessuna tabella, pensiamo a vincere”,”Ora conta solo vincere”, “Parma battibile ma solo se siamo perfetti”. In ogni competizione giungono le fasi decisive e spesso in queste situazioni il linguaggio si semplifica ed esprime senza mezzi termini il risultato che si vuole raggiungere. Dal mio punto di vista condivido questi atteggiamenti degli allenatori, perchè vi sono momenti in cui le squadre e i singoli giocatori devono sentirsi totalmente responsabili del risultato della partita. In altre parole, devono giocare con la consapevolezza che c’è un solo risultato utile e per ottenerlo devono essere disposti a oltrepassare i loro limiti. Uscirà vittorioso chi saprà vivere appieno ogni istante della partita, senza lasciarsi influenzare da un eventuale parziale negativo.

Sotto stress continuo

Conte dice che l’Inter farà la gara della vita, gli risponde Luis Enrique affermando che alla Roma serve la partita perfetta per battere il Milan. Siamo ormai da tempo entrati nell’era che ha trasformato le partite di calcio in prove estreme, in cui i principali protagonisti drammatizzano la partita per timore o per rassicurarsi che la propria squadra giochi al massimo delle sue possibilità. Il linguaggio sobrio è diventato raro o forse non fa audience.