Dagli archivi del Roland Garros degli anni ’80, nasce il documentario: “John McEnroe: in the realm of perfection” di Julien Faraut Girato in 16 mm il documentario mette in luce i problemi di convivenza tra il campione più impetuoso e geniale di tutti i tempi e il pubblico e gli arbitri perfettibili, grazie a una troupe cinematografica che ha catturato ogni mossa del celebre tennista americano.
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di Simone Battaggia
È ufficiale: Jonny Wilkinson giocherà almeno per un’altra stagione. Almeno fino alla fine del 2014-15 resterà a Tolone, dove a 33 anni sta vivendo una straordinaria chiusura di carriera. Dieci giorni fa è stato decisivo nella vittoria dei rossoneri contro il Leicester nei quarti di Coppa Europa: ha segnato tutti i 21 punti dei francesi (21-15), con 6 su 6 al piede e un drop realizzato all’ultimo minuto.
Dal 18 aprile sarà in vendita anche in Italia un libro breve – ma assolutamente straordinario – che ci permette di conoscere più da vicino il campione inglese. Il titolo è «Rugby Quantistico – Un dialogo tra sport e fisica» (96 pagine, 8 euro) ed è il frutto di un incontro avvenuto nel 2012 in Francia tra Jonny e due fisici teorici di altissimo livello, Étienne Klein e Jean Iliopoulos. Edd editrice ne ha affidato la traduzione al collega di Repubblica Massimo Calandri, che ha scritto anche la postfazione.
La prima notizia è che Jonny Wilkinson è appassionato di fisica quantistica. «Per tutta la vita sono stato ossessionato dall’idea di raggiungere la perfezione e sono rimasto deluso. Finché un giorno mi sono messo alla ricerca di un altro modo per arrivare a un’altra percezione del mondo e del mio lavoro. Prima di tutto mi sono rivolto al buddismo (…). E poco dopo ho scoperto che c’erano legami tra il mio lavoro e la fisica quantistica». In particolare, ad aver affascinato Wilko è il principio di indeterminatezza di Heisenberg. In soldoni, il fisico tedesco diceva che in determinati campi «le leggi naturali non conducono a una completa determinazione di ciò che accade nello spazio e nel tempo; l’accadere è piuttosto rimesso al gioco delcaso». Se anche nella fisica quantistica non tutto è controllabile, deve aver pensato Wilkinson, perché dovrebbe esserlo il rugby? Meglio rilassarsi. «C’è un primo livello che si può gestire: il pallone. Se calcio il pallone una, cento, mille volte, alla fine posso arrivare a riprodurre lo stesso risultato in partita e durante un allenamento. E poco alla volta ho la sensazione di poter controllare tutto. Poi c’è un secondo livello, in cui molte cose sono imperscrutabili, in cui un’altra parte di me è chiamata in causa, la parte che riguarda l’istinto, le emozioni profonde. Ed è lì che posso essere davvero me stesso, connettermi al mondo, e anche imparare qualcosa di nuovo». Così si scopre che, paradossalmente, per Jonny il calcio è la cosa meno interessante del rugby. A un certo punto lo definisce «un lavoro da portalettere».
Man mano che prosegue il libro, emergono altri punti di contatto strabilianti tra le due aree. Come l’importanza della fantasia, dell’inventiva, del lavoro di squadra nella lettura di un’azione di gioco così come nella scoperta di una nuova particella. Fino alla splendida definizione del rugby secondo il principio della termodinamica, dato da Étienne Klein: «L’essenziale della strategia consiste nel portare la temperatura, o la forza, o l’energia cinetica, o la potenza, o molto più semplicemente la massa, a livelli superiori a quelli della parte avversaria. E dunque a creare uno squilibrio tra una parte e l’altra del campo. Questo è il mio modo di vedere il rugby».
Chi non sa niente di quark e neutrini, quindi, non si spaventi. Chi scrive era e resta un’autentica capra in qualsiasi materia scientifica, eppure a fine libro si ha quasi la sensazione di aver capito a cosa serve e come funziona l’acceleratore di particelledel Cern di Ginevra. Straordinario.