Come vivono gli allenatori del calcio di élite l’esonero, le vittorie, le nuove panchine è un tema poco conosciuto e per niente indagato data la difficoltà e la riservatezza di questo tema.
Anche se i media ne parlano continuamente non si fanno analisi approfondite, spesso non si va oltre l’analisi degli aspetti più banali (ha fallito, gli è mancato il sostegno della dirigenza, non aveva l’esperienza, la società non aveva un progetto per migliorare la squadra).
Gli atleti vengono studiati dal punto di vista psicologico ma non gli allenatori. Non abbiamo risposte che vanno oltre l’aneddotica di come Max Allegri ha vissuto questi due anni senza lavoro, come Sarri ha interpretato il suo allontanamento dovuto a incomprensioni sul su modo di concepire il calcio, come Antonio Conte rinuncia a guidare l?inter dopo avere vinto il campionato spinto dal desiderio di avere una squadra più competitiva da guidare, come De Zerbi si prepara a essere il leader dello Shachtar, come si preparerà Andrea Pirlo ad allenare una nuova squadra dopo essere stato bocciato dalla Juventus.
Non hanno certo problemi economici e, quindi, la questione riguarda la percezione che hanno di se stessi e il modo in cui questa consapevolezza interagisce e viene influenzata dalle situazioni e dall’ambiente in cui vivono.
Ho descritto più volte le caratteristiche degli allenatori vincenti ma come variano nel tempo in relazione alle loro esperienze professionali? Come gestiscono lo stress derivato da questi cambiamenti, spesso non scelti da loro ma decisi da altri?
L’unica risposta che mi sembra importante, è nel porre l’accento sulla rilevanza che può ricoprire la loro formazione psicologica, e quindi quell’idea di miglioramento personale e professionale continuativo che di solito è alla base del successo degli allenatori più vincenti.