Se Jacobs e Tamberi non avessero coltivato il loro sogno non ci avrebbero regalato questa giornata indimenticabile. Un vecchio detto afferma che chi non sogna non è realista. Quante volte ci siamo detti “sarebbe un sogno se ci riuscissi, ma è impossibile, meglio lasciar perdere, sarebbe troppa la delusione”. Così di fronte alla paura del fallimento ci blocchiamo e ci diciamo: “Dai, torna con i piedi per terra”.
Questo non è stato il caso di questi due uomini che, senza essere campioni del mondo o aver stabilito record, hanno deciso di correre il rischio di fallire pur di lavorare a raggiungere il sogno della loro vita. Tamberi e Jacobs hanno creduto nell’apparente impossibile e hanno svolto in questi anni un duro lavoro per trasformare in realtà ciò che all’inizio era un sogno di ragazzi. I sogni permettono di esplorare i nostri limiti e fino a quando non conosciamo quelli attuali non possiamo sapere cosa dovremo fare per oltrepassarli. Spesso sentiamo dire: “ho dato tutto”. E’ certamente vero per quanto riguarda quello che noi conosciamo di noi stessi in quel momento, è la nostra consapevolezza che porta a formulare questo pensiero ma se migliorassimo questa condizione di conoscenza di noi stessi potremmo scoprire che non è vero, che non abbiamo utilizzato ancora tutte le nostre qualità, che forse ancora non conosciamo del tutto. Se Jacobs non avesse avuto il coraggio di abbandonare il salto in lungo dopo due salti nulli, pur avendo saltato in precedenza 8,49, agli europei indoor del 2019 e se Tamberi non avesse scritto sul gesso il suo sogno del tutto incredibile “Road to Tokyo 2020” quando ancora era in ospedale, non avrebbero vinto l’oro a Tokyo.
Solo chi supera queste barriere psicologiche, imponendo a se stesso qualcosa di sconosciuto, può concretamente aspirare a raggiungere obiettivi incredibili. D’altra parte la storia delle imprese degli esseri umani ci racconta molte di queste storie. “Impossible is nothing” è il motto di una multinazionale dello sport, da un lato è falso perché non potremo mai correre veloci come un ghepardo ma è altrettanto vero che nello sport “i record sono fatti per essere battuti” e per farlo bisogna superare quel limite oltre il quale nessuno sino a quel momento è andato.
E’ stato così per Roger Bannister, che il 6 maggio 1954 fu il primo a compiere un’impresa considerata impossibile dai medici e cioè correre il miglio inglese (1609,23 metri) sotto i 4 minuti (3’59”4). Il suo record durò appena 46 giorni, l’australiano John Landy lo portò a 3’58″0, ciò fu possibile perché Bannister aveva scardinato una porta invalicabile oltre la quale ci sono passati tutti e riassunse la sua impresa con queste poche parole: “Il segreto è sempre quello, l’abilità di tirare fuori quello che non hai o che non sai di avere”. Lo stesso fu per Reinhold Messner quando il 20 agosto 1980 fu il primo uomo a realizzare un’altra impresa considerata impossibile dalla scienza, scalare l’Everest (8848 metri) senza l’uso dell’ossigeno, per poi arrivare a scalare tutti i 14 ottomila con questo approccio.
Le esperienze di questi atleti e ieri di Jacobs e Tamberi ci confermano il valore di coltivare i nostri sogni, sono la luce che ci guida tra le difficoltà e le prestazioni, alimentando senza sosta la convinzione di raggiungere la meta prefissata.